Giornata marittima mondiale: intervista con mons. Marchetto
Oggi si celebra anche la Giornata Marittima Mondiale, indetta dall’OMI, l'Organizzazione
Marittima Internazionale, per ricordare l’importanza di tale industria e il suo contributo
all’economia mondiale. Giovanni Peduto ha intervistato l’arcivescovo Agostino
Marchetto, segretario del Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti
e gli Itineranti, che ha un suo settore dedicato all’Apostolato del Mare:
R. -
Il tema scelto quest’anno, "La risposta dell’OMI alle attuali sfide ambientali", è
un appello rivolto a tutti ad intensificare gli sforzi per proteggere e preservare
l’ambiente marittimo prima che i danni vi siano irreparabili. Non è molto che l’umanità
ha cominciato a capire la fragilità del nostro pianeta e le gravi ripercussioni che
possono avere le nostre azioni. Molti Paesi, però, sono ancora riluttanti a ratificare
le Convenzioni esistenti in materia di protezione dell’ambiente marittimo perché ciò
richiederebbe, da parte loro, grossi investimenti finanziari e anche una competenza
che non sempre hanno. Il rispetto dell’ambiente, ad ogni modo, presuppone la convinzione
che siamo tutti “maggiordomi di Dio nel Creato” e ciò esige un impegno personale,
collettivo e internazionale. Per la Chiesa, la cura del Creato è questione morale,
come ci ricorda l’Enciclica di Giovanni Paolo II Centesimus Annus.
D.
- Quando parliamo di rispetto dell’ambiente, ci riferiamo anche a tutti coloro che
traggono sostentamento dal mare?
R. - Quando si parla
di rispetto dell’ambiente è importante riaffermare che l’uomo è al centro del Creato.
Tale rispetto, infatti, non ha senso se non inizia con il rispetto della persona e
questa è sempre l’attore principale della questione ambientale. La preoccupazione
per l’ambiente, infatti, non può non tener conto delle necessità di una popolazione,
sempre più grande, che trae dalla pesca la principale fonte di sostentamento. Pertanto,
è importante favorire politiche equilibrate che tengano conto dei fattori ambientale,
per uno sfruttamento sostenibile delle risorse, e al tempo stesso umano, per un tenore
di vita equo dei soggetti impegnati nelle attività della pesca. Benedetto XVI attesta
che “il degrado ambientale rende insostenibile particolarmente l’esistenza dei poveri
della terra” (Angelus del 27 agosto 2006). Proprio per questo amore per i poveri,
non possiamo, quindi, non scandalizzarci per equipaggi abbandonati in porti stranieri,
salari non corrisposti e per maltrattamenti, che stanno a significare come, anche
per l’industria marittima, vi è il rischio che le considerazioni economiche si antepongano
alla preoccupazione per il bene delle persone.
D.
- Qual è la visione del Pontificio Consiglio e il suo approccio alle sfide dell’ambiente
marittimo?
R. - La globalizzazione non ha migliorato,
purtroppo, le condizioni di vita e di lavoro nel mondo marittimo. Gli equipaggi trascorrono
un tempo sempre più lungo a bordo, sono isolati, stressati e affaticati. Ciò è più
evidente nel settore della pesca. Il nostro recente Congresso Mondiale dell’Apostolato
del Mare a Gdynia (Polonia) ha dichiarato, per esempio, che, se è vero che esistono
milioni di pescatori responsabili e meritevoli di tutto il nostro rispetto, non si
può ignorare la pratica della pesca illegale, l’uso di metodi distruttivi, soprattutto
in Africa, da parte di navi di altri continenti, la pesca eccessiva che, in alcune
regioni, rischia addirittura di far scomparire, in un prossimo futuro, le risorse
ittiche. Ricordo ancora gli incidenti in mare, troppo frequenti e con conseguenze
drammatiche anche per le comunità di quanti ne sono vittime.
D.
- In concreto, cosa possiamo fare noi, comuni cittadini?
R.
- Se consideriamo che oltre il 90% del commercio mondiale si svolge per mare e se
teniamo conto del suo contributo all’economia mondiale, è evidente che la nostra società
ha un debito importante verso i marittimi, il cui lavoro richiede molto coraggio,
esperienza, sacrificio e professionalità. A questo, però, non corrisponde un riconoscimento
per gran parte di loro. È nostro dovere, perciò, mostrare loro gratitudine, anche
in concreto, solidarietà e accoglienza, assistendoli quando necessario e pregando
per loro e le rispettive famiglie. Quanti vivono nei Paesi industrializzati devono
comprendere, poi, che non si possono sperperare le risorse della terra, ma è necessario
un loro uso parsimonioso e coerente con il bene comune, anche per le generazioni future.
Come ribadito al Congresso di Gdynia, vogliamo avere il coraggio di introdurre un
“umanesimo cristiano della speranza” nel mondo marittimo, come testimoni della Buona
Novella di Gesù Cristo.