2007-09-25 12:46:34

Concluso il primo incontro mondiale dedicato al clero di origine gitana. La testimonianza di mons. Mario Riboldi


Si è chiuso ieri a Roma, nella Casa delle Figlie della Carità di San Vincenzo de’ Paoli, il primo incontro a livello mondiale di sacerdoti, diaconi, e persone religiose consacrate, di origine zingara. Domenica scorsa, all’Angelus, Benedetto XVI aveva salutato i partecipanti al convegno - dal titolo “Con Cristo al servizio del popolo zingaro” - promosso dal Pontifico Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli itineranti. Nel mondo, ci sono oggi circa 36 milioni di zingari e un centinaio di loro sono consacrati. L’India, con 20 presbiteri, ha il più alto numero di sacerdoti zingari. All'incontro ha partecipato anche mons. Mario Riboldi, già incaricato nazionale della Pastorale per gli zingari in Italia e uno dei pochi sacerdoti che da molti anni è attivo in Italia proprio su questo fronte. A intervistarlo è stato Fabio Colagrande:RealAudioMP3


R. - Io sono dentro da una cinquantina d’anni. C’era ancora il cardinale Giovanni Battista Montini a Milano, quando io facevo i primi passi in questo mondo molto diverso. Il cardinale era contentissimo di questa apertura, era veramente entusiasta della novità, perchè vedeva aprirsi un popolo alla Chiesa. Con il passare del tempo, abbiamo avuto anche alcune vocazioni. Come gruppo ci siamo messi a cercare preti zingari, suore zingare, frati, diaconi e ne abbiamo incontrati un centinaio.

 
D. - Come nacque questa sua particolare vocazione? Come iniziò a stare con gli zingari, a trascorrere la vita in roulotte?

 
R. - Ero prete da un mese, stavo andando al paese vicino in bicicletta per confessarmi, ho visto un gruppo di nomadi e ho pensato: “Chi porta il Vangelo a questa gente?” Ed eccomi, dopo 54 anni, a fare ancora questa cosa: portare il Vangelo a gente che normalmente viene allontanata o, comunque, tenuta ad una certa distanza.

 
D. - Quali sono le difficoltà maggiori nella evangelizzazione del popolo Rom?

 
R. - La prima difficoltà è diventare veramente un Rom, perché la mentalità del nomade è molto diversa da quella del sedentario e per diventarlo bisogna inserirsi lentamente, pian piano, in modo da imparare quello che per il nomade vale e lasciar perdere quello che per lui vale poco. Per dire, ho dovuto imparare diversi linguaggi che si trovano in Europa e non ho avuto il tempo di imparare l’inglese. Non so l’inglese, ma giro l’Europa parlando la lingua dei Rom, dei Sinti, dei Calesi e così via.

 
D. - Durante questo primo incontro mondiale dei religiosi zingari a Roma è arrivato l’appello ad evitare ogni forma di discriminazione contro il popolo gitano, ma anche un forte invito agli zingari a riconciliarsi con la società circostante, rispettando tutti i doveri del vivere comune. Una domanda che si fanno in molti: perché è così difficile l’integrazione del popolo Rom in Italia, ad esempio?

 
R. - La parola "integrazione" non significa "assimilazione". Ma anche la parola "integrazione" mi fa paura, perchè un conto è la teoria e un conto è la pratica. Alla fine si è fagocitati dalla popolazione maggioritaria e si scompare e questo non è un pericolo secondario.







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