Libano. Appello di mons. Räi ai leader politici: cessate di distruggere il Paese
Ferma condanna in tutto il mondo per il grave attentato avvenuto ieri alla periferia
est di Beirut, in cui ha perso la vita il deputato libanese cristiano della maggioranza
parlamentare antisiriana, Antoine Ghanem, ucciso insieme con altre otto persone. L’episodio
getta il Libano in un clima di grave tensione a pochi giorni dalle elezioni presidenziali
della prossima settimana. Il servizio di Giancarlo La Vella:
Il Libano
è in lutto, sino a domani, giorno in cui verranno celebrati a Beirut i funerali di
Antoine Ghanem, 64 enne deputato cristiano dell’opposizione antisiriana, e delle altre
otto vittime dell’esplosione avvenuta ieri nel quartiere cristiano di Sin el Fil.
Ghanem è l’ottavo esponente antisiriano assassinato in Libano in meno di tre anni
dall'attentato di cui rimase vittima l’ex premier Rafiq Hariri. Della lunga scia di
sangue fanno parte anche nomi eccellenti, come il ministro dell’Industria Pierre Gemayel,
ucciso nel novembre scorso. Esecrazione, per quanto avvenuto in un Paese che sembra
ancora lontano dall’intraprendere stabilmente la via verso la pacificazione nazionale,
è stata espressa in maniera unanime in tutto il mondo. Primo fra tutti, il segretario
generale dell’Onu, Ban Ki Moon, si è detto scioccato dalla brutale uccisione del deputato,
condannando fermamente l’attentato, un fatto inaccettabile – ha ribadito – che minaccia
gravemente la stabilità del Libano. E proprio alle Nazioni Unite ha chiesto aiuto
il premier libanese, Siniora. Il capo del governo ha inviato una lettera a Ban Ki-moon,
sollecitando assistenza tecnica per le indagini su quello che ha definito un orribile
assassinio. Condanna dell’ignobile atto anche da parte del presidente americano Bush.
“Gli Stati Uniti si oppongono a qualsiasi tentativo di intimidire i libanesi – ha
detto il capo della Casa Bianca – nel momento in cui intendono esercitare democraticamente
il diritto di scegliere il proprio presidente senza ingerenze esterne. Reazioni dello
stesso tenore sono giunte anche da Unione Europea, Italia, Grecia, Canada ed altre
Nazioni. Anche la Siria ha denunciato l’atto criminale, indirizzato contro gli sforzi
di Damasco a favore dell’unità in Libano. Ma proprio la Siria viene accusata, velatamente
dagli Stati Uniti, in maniera più chiara dal leader druso, Walid Jumblatt, di essere
dietro l’attentato. Infine, il movimento sciita libanese Hezbollah ha definito l’omicidio
di Ghanem un colpo alla stabilità e alla sicurezza del Paese.
Per un commento
sulla situazione in Libano, dopo il sanguinoso attentato di ieri a Beirut, ascoltiamo
il vescovo di Byblos dei Maroniti, mons. Béchara Räi, intervistato da
Giada Aquilino:
R. –
Ogni volta che ci sembra di andare un po’ avanti, con la speranza di uscire da questo
inferno del terrorismo, si ricomincia di nuovo tutto da capo. La gente, quindi, è
sempre più depressa e non vede via d’uscita.
D.
– Le indagini verso quale direzione vanno?
R. – E’
ancora prematuro, anche perché il governo ha chiesto al segretario generale dell’ONU
di far indagare il Tribunale Internazionale anche sull’assassinio di ieri. Sappiamo,
purtroppo, che dietro ci sono tutti coloro che non vogliono la stabilità del Libano.
Nel nostro Paese, paghiamo un conflitto regionale che è, però, da inquadrare in una
strategia internazionale. Noi non facciamo che pagare per gli altri. Oggi si sa che
le conseguenze della guerra in Iraq, che è caratterizzata anche da una guerra confessionale
tra sunniti e sciiti, si ripercuote in Libano. Quando si parla di soluzioni, quindi,
è necessario parlare - per quanto riguarda la parte sunnita - con l’Arabia Saudita,
l’Egitto, gli Stati Uniti e i loro alleati e - per la parte sciita - con l’Iran e
la Siria.
D. – L’attentato è avvenuto pochi giorni
prima delle elezioni del presidente della Repubblica. Che significato assume?
R.
– Stanno cercando di eliminare, quanto più possibile, coloro che formano la maggioranza,
che si oppone agli Hezbollah. Gli assassinii in due anni sono stati 14-15 e hanno
interessato tutti membri della maggioranza. Stanno quindi cercando di eliminare voti
e suffragi in vista del giorno delle elezioni.
D.
– Il fronte antisiriano - formato da cristiani maroniti, musulmani sunniti e drusi
- a questo punto si sente indebolito?
R. – Tutti
quanti sono sostenuti dall’esterno. Purtroppo devo accusarli tutti quanti, cristiani
e musulmani. Sia quelli che cercano sostegno e supporto da parte sunnita o sciita,
sia quelli che puntano all’aiuto da parte occidentale ed orientale: per me sono tutti
ugualmente responsabili dei crimini che vengono commessi in Libano. E questo perché
ciascuno cerca i propri interessi: il popolo e il Paese intero stanno pagando il prezzo
maggiore. Perché queste persone non stanno certo facendo il bene del Libano: né del
popolo né dello Stato.
D. – Di fronte a questo nuovo
attentato, come ha reagito la comunità cristiana libanese?
R.
– Come tutti i libanesi, siano essi cristiani o musulmani. I libanesi non vogliono
più questo sistema di vita, questo modo di condurre la politica. C’è una disgregazione
sociale, una disgregazione economica, una disgregazione politica. E c’è un’emorragia.
Il popolo è ormai a terra a tutti i livelli e l’emigrazione continua.
D.
– Qual è l’appello della Chiesa libanese al Paese?
R.
– Di pacificare i cuori, di rimanere sempre saldi nella fede, di rinsaldare l’unità.
Ma l’appello più grande non è rivolto al popolo: l’appello più importante lo abbiamo
lanciato ieri, attraverso il comunicato dei vescovi ai responsabili, ai governanti,
ai politici. Ed è quello di smetterla con la distruzione del Paese, solo per la realizzazione
degli interessi personali, siano essi regionali o internazionali.