La crisi dello sport al centro del Seminario internazionale promosso dal Pontificio
Consiglio per i Laici
Si è svolto in questi giorni a Roma (dal 7 all'8 settembre) un Seminario internazionale
promosso dal Pontificio Consiglio per i Laici sul ruolo dei cappellani sportivi, sul
tema “Sport: una sfida pastorale e educativa”. Una cinquantina i partecipanti, giunti
da tutto il mondo. Ma cosa è emerso da questo seminario? Giovanni Peduto lo
ha chiesto a mons. Josef Clemens, segretario del dicastero vaticano:
R. –
La prima cosa che abbiamo constatato sono le enormi chance per la Chiesa, perchè come
sappiamo miliardi di persone sono legate al mondo dello sport. Quindi, per la Chiesa
è una sfida. In un mondo come quello in cui viviamo oggi, dove mancano molti elementi
educativi e anche istituzioni educative, la Chiesa, e il cappellano a nome della Chiesa,
ha un ruolo fondamentale e molto importante.
D. –
Come, a questo proposito, far entrare i valori evangelici in uno sport spesso deformato
dagli interessi economici, dal doping, dalla voglia di vincere a tutti i costi?
R.
– Prima di tutto il cappellano deve guadagnarsi una certa fiducia, tramite la presenza,
la condivisione, e non solo nei grandi eventi. Può portare nel mondo sportivo, che
è in una grande crisi – e questo non è un segreto – può portare nuovi elementi, elementi
che lo sportivo spesso non riconosce più, perchè è preso dal successo, dalla tentazione
dei soldi, dalla pubblicità e da altre cose. Quindi, il cappellano ha un ruolo importantissimo,
perché introduce in questo mondo degli elementi etici di umanità e di equilibrio.
D. – Da questo incontro, eccellenza, sono emersi
particolari che l’hanno colpita in maniera speciale?
R.
– Quello che mi ha colpito molto è che c’è un grande interesse da parte delle grandi
istituzioni come il Comitato olimpico e le grandi federazioni. Mi sono meravigliato
di questo interesse per la voce della Chiesa. Loro stessi notano che sono in un vicolo
cieco e che hanno bisogno di aiuto, di principi etici fondamentali, insomma di un’antropologia
equilibrata, che sembra che il mondo dello sport abbia perso.