Famiglia, diritto alla verità ed educazione al centro della “Settimana nazionale per
la pace” che si svolgerà in Colombia dal 9 al 16 settembre
Creare spazi di ogni tipo per riflettere sulla pace, i diritti umani, la riconciliazione
e, dunque, spingere la cittadinanza a promuovere azioni concrete per combattere l'assuefazione
alla morte e alla violenza. E’ l’obiettivo della “Settimana nazionale per la pace”
in programma dal 9 al 16 settembre in tutte le diocesi della Colombia. L’iniziativa,
nata nel 1987 per volere della conferenza episcopale, impegnerà in numerose attività
migliaia di operatori pastorali, parrocchie, movimenti apostolici, organizzazioni
sociali e comunitarie nonché espressioni associative della società civile. Riflettere
sull’incontro con Cristo “via, verità e vita”, approfondire il rapporto personale
con il Signore, guardare in particolare alla famiglia, chiamata “per vocazione e missione
ad educare per la pace dalla verità e dalla sincerità”, tenere presente il “diritto
alla verità” il cui rispetto “può garantire la pace giusta e solidale”, collocare
la grande questione della riconciliazione nell’ambito della scuola che “non può ignorare
o sottovalutare il proprio compito centrale, quello di educare nella verità e per
la verità”: sono questi i temi sui quali i vescovi colombiani invitano i fedeli a
riflettere. La Colombia è dominata dalla paura e dai conflitti da oltre 40 anni; migliaia
di colombiani che vivono in zone remote o negli slum urbani sono intrappolati in un
circolo vizioso di violenza e non possono dirsi a casa in nessun posto. E così migliaia
di persone non hanno accesso alle cure mediche, vivono oppresse da traumi continui
e devono sopportare un’esistenza fatta di incertezze. Oltre tre milioni di colombiani
hanno dovuto lasciare le loro case; nelle zone di conflitto, i massacri, le esecuzioni
e le intimidazioni provocano una paura insostenibile. La violenza è la causa di morte
più diffusa: 221 uomini su 100 mila muoiono per omicidio, anche premeditato; 17 donne
su 100 mila muoiono in seguito a violenze. Gli abitanti delle zone rurali che vivono
in aree interessate da scontri, inoltre, vengono spesso accusati di sostenere gruppi
armati e la conseguenza è una stigmatizzazione che li porta a temere per la propria
vita, rendendo insicuri gli spostamenti al di fuori dei loro villaggi, anche in caso
di emergenze mediche. Poche, poi, le strutture sanitarie in queste regioni isolate,
dove i programmi di vaccinazione raramente raggiungono la popolazione. Soltanto l’1%
è stato vaccinato contro malattie come la polio e il pericolo di infezioni o epidemie
costituisce un grave rischio. (L.B. – T.C.)