2007-09-04 14:39:35

Mons. Ravasi nuovo presidente del Pontificio Consiglio della Cultura


Il Papa ieri ha nominato il nuovo presidente del Pontificio Consiglio della Cultura: si tratta di mons. Gianfranco Ravasi, finora prefetto della Veneranda Biblioteca Ambrosiana. Il Pontefice lo ha nominato nello stesso tempo presidente delle Pontificie Commissioni per i Beni Culturali della Chiesa e di Archeologia Sacra, assegnandogli la sede titolare di Villamagna di Proconsolare, con dignità di arcivescovo. Mons. Ravasi, nato a Merate, in provincia di Lecco 65 anni fa, succede al cardinale Paul Poupard, che per raggiunti limiti d’età ha rinunciato ad un incarico che ricopriva da quasi 20 anni. Sergio Centofanti ha chiesto a mons. Ravasi come abbia accolto questa importante nomina:RealAudioMP3


R. - Colgo questa nomina con sorpresa, da una parte, perché si tratta di una svolta radicale per la mia vita, anche se per molti versi devo dire che ho trascorso buona parte della mia esistenza nel mondo della cultura, nel mondo del dialogo, con un orizzonte così mutevole, come quello della cultura, delle arti, della letteratura e così via. D’altra parte, c’è anche una dimensione che mi è molto consona, quella cioè di stare sulla frontiera, per vedere anche questo mondo della non credenza, il mondo che si interroga, il mondo che qualche volta rifiuta, ma che ha dentro di sé sottilmente un’ansia di ricerca. Si tratta di un’esperienza per me molto superiore, rispetto a quella che ho condotto finora, in un orizzonte ristretto. E’, però, un entrare in un ambito che non mi fa trovare spaesato o inceppato o dubbioso.

D. – A suo avviso, quali sono le principali sfide culturali di oggi?

R. – Le principali sfide culturali di oggi sono su traiettorie molto diverse. Da un lato c’è sicuramente il ritrovare ancora i grandi valori, in un confronto con una tradizione così alta e così nobile come quella cristiana. Il cristianesimo ha alle spalle due millenni di cultura altissima, che non può essere semplicemente liquidata come purtroppo avviene qualche volta ai nostri giorni con delle battute, con degli sberleffi quasi di tipo goliardico. Quindi, il primo elemento, in un mondo così vago e incerto, è quello di riuscire a trovare la sostanza, a ritrovare radici che possano in qualche modo alimentare. Un’altra traiettoria è certamente quella del vincere la superficialità, la banalità. Il fatto che la cultura religiosa di sua natura ponga le domande ultime e dia alcune risposte che sono risposte ultime, questo fa sì che all’interno del mondo di oggi, così fermo alla superficie delle cose, così banale, qualche volta persino volgare, si possa invece ritrovare una sorta di scintilla profonda, una sorta di seme deposto che deve ancora fiorire. E questa è la sfida di un dialogo con questo mondo. Io direi che queste due traiettorie sono le principali. Poi, naturalmente, si ramificano nella complessità di un dicastero vaticano, che non guarda soltanto all’Occidente, ma guarda anche ai grandi orizzonti dei continenti, come l’Africa e l’Asia, che hanno percorsi nuovi, percorsi diversi rispetto a quelli che abbiamo fatto finora.

D. – Come far dialogare Vangelo e cultura in questa nostra società?

R. – Il dialogo tra Vangelo e cultura è stato uno dei grandi punti di riferimento della Chiesa, soprattutto all’interno della sua storia secolare, ma soprattutto a partire dal Concilio Vaticano II. Non per nulla il dicastero della cultura sorge sulla scia del Concilio, anche se poi verrà formalmente istituito da Giovanni Paolo II. Ha già il suo avvio con Paolo VI e, in particolare, con quel Consiglio che lui vorrà al Pontificio Consiglio per il dialogo con i non credenti. In questa luce, io penso che sia indispensabile riconoscere che il cristianesimo è anche produttore di cultura, ma è anche soprattutto capace di inquietare le culture, di dare una forza di ricerca, una forza di domanda sicuramente molto feconda. Ecco, il Vangelo e la cultura sono un binomio che deve essere intrecciato, che si incrocia, non solo perché il Vangelo deve riuscire ad esprimersi attraverso i linguaggi, attraverso le coordinate della nuova cultura, ma, d’altra parte, deve essere anche capace di lasciare una traccia. Non deve soltanto esprimere se stesso, ma anche far sì che la sua espressione diventi un principio vitale, un principio fecondatore.

D. – Come lei ha già accennato, vediamo sempre più spesso una società contraddittoria, sempre più senza Dio, ma sempre più assetata di Dio...

R. – E’ vero questo, noi ci troviamo paradossalmente in un mondo che sembra fermarsi soltanto all’ovvietà, alla banalità, si perde in piccoli rigagnoli, accoglie ormai piuttosto che la parola la chiacchiera, nelle azioni non ha più la progettualità. Ma, d’altra parte, mai come in un terreno così desertico, come bisogna pure registrare, che è quello caratteristico del nostro tempo, si sente proprio la necessità di far ramificare radici di speranza, si sente come se l’uomo avesse sempre un fremito. Come diceva giustamente Pascal: “L’uomo supera infinitamente l’uomo”. E’ inutile che si cerchi con la pubblicità, con il commercio, con la vita solo ridotta a fenomeno economico o biologico, di accontentare l’uomo nei suoi bisogni primari, nelle sue pulsioni e così via. L’uomo alla fine contiene sempre dentro di sé una sorta di apertura verso l’eterno e l’infinito. Ha dentro di sé sempre questa tensione che lo supera. Ed è nella ricerca di questo oltre e di questo altro che deve attestarsi la presenza della Chiesa con il suo annuncio e la sua cultura.

D. – Lei sa già quali saranno i suoi primi passi?

R. – Io non sono un uomo della Curia vaticana, quindi entro dall’esterno e devo con molta umiltà cominciare a conoscere una struttura di grande complessità, che ha già alle spalle una tradizione. Il Pontificio Consiglio ha celebrato quest’anno i 25 anni della sua esistenza. Quindi, ho la necessità di riuscire a conoscerlo con attenzione, conoscendone tutti i percorsi, tutte le attività in modo tale da poter poi insieme iniziare un nuovo itinerario, iniziare appunto un nuovo progetto. La prima tappa perciò è come sempre, come in tutte le cose, prima conoscere e poi agire.

D. – L’ultima domanda. Lei succede al cardinale Poupard...

R. – Io vorrei, avendo questa occasione, rivolgere un saluto al cardinal Poupard che, come tutti sanno ormai - è noto in tutto il mondo - è stato una delle alte figure della cultura cattolica ed è stato anche una grande personalità. Quindi, a maggior ragione, la mia presenza diventa per certi versi più faticosa, quasi inceppata, di fronte ad una figura di così alto rilievo. Anche la Pontificia Commissione dei Beni Culturali aveva delle figure significative, come il suo presidente precedente, mons. Piacenza, e l’attuale vice presidente che è l’abate Zielinsky, che ho avuto il piacere di conoscere. Sicuramente ho alle spalle delle presenze molto alte e queste presenze possono essere certamente elemento di imbarazzo per me, ma possono essere anche un elemento importante di stimolo, ben sapendo che poi rimarranno ancora accanto a me con il loro consiglio, perché io, come ho detto, entro in un orizzonte che mi è per buona parte ignoto, venendo da un mondo diverso, nei cui confronti devo stabilire ormai un ponte di comunicazione.







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