25 anni fa la mafia uccideva il generale Dalla Chiesa, la moglie e l'agente di scorta
25 anni fa Cosa nostra uccideva il prefetto di Palermo Carlo Alberto Dalla Chiesa,
la moglie Emanuela Setti Carraro e l'agente di scorta Domenico Russo. Il superprefetto
venne inviato d'urgenza dallo Stato a Palermo, dopo gli omicidi del segretario siciliano
del Partito Comunista, Pio La Torre, di Piersanti Mattarella, presidente della Regione
siciliana, e Michele Reina, segretario della Democrazia Cristiana palermitana. Dalla
Chiesa, era deciso ad andare fino in fondo "senza guardare in faccia nessuno". Da
Palermo, il servizio di Alessandra Zaffiro.
Durante
i cento giorni che precedettero la strage di via Carini, il prefetto cercò di promuovere
la risposta dello Stato e di spezzare il legame tra mafia e politica. Ma le sue iniziative
furono frenate da ostilità ambientali e da una ridotta capacità di intervento: Dalla
Chiesa reclamò continuamente la concessione di poteri di coordinamento che non ottenne.
Nell'ultima intervista che rilasciò a Giorgio Bocca, il generale disse: “Un uomo viene
colpito quando viene lasciato solo”. Poche ore dopo l’agguato, qualcuno scrisse: “Qui
è morta la speranza dei palermitani onesti”.
Questa
mattina, per rendere omaggio alle vittime di via Isidoro Carini, una Messa nella
chiesa di Santa Maria di Monserrato, concelebrata da monsignor Gioacchino Gammino
e da don Luigi Ciotti. “E’ una commemorazione – ha detto mons. Gammino nell’omelia
- che quest’anno fa i conti con una attualità più pressante e articolata che ci induce
a ribadire fortemente: NO alla mafia e ai suoi delitti, NO alla criminalità delle
estorsioni e del pizzo. Quanta tristezza nell’assistere impotenti alla distruzione
di quanto persone laboriose hanno con sacrificio loro e delle loro famiglie, messo
su per una economia virtuosa e benefica per la città e la regione”. “Fare memoria
del Prefetto Dalla Chiesa – ha concluso mons. Gammino - significa anche ricordare
tutto questo patrimonio umano di energie sane di cui è ricca la nostra società" e
ci conferma che “la speranza non è morta”. Subito dopo, parenti delle vittime e istituzioni
hanno deposto corone di fiori sul luogo dell'eccidio. Poi, alla presenza del sottosegretario
all'Interno, Alessandro Pajno, l'intitolazione al generale Dalla Chiesa della caserma,
sede del Comando Regione carabinieri Sicilia. Ma a che
punto è oggi la lotta alla mafia e cosa è cambiato in Sicilia dalla strage di via
Carini? Risponde, al microfono di Silvia Gusmano, Guido Lo Forte, procuratore
aggiunto di Palermo.
R. –
Indubbiamente, la lotta contro Cosa Nostra è ancora ben lontana dall’essere vinta,
anche se certamente è possibile vincerla. Cosa Nostra ha cambiato strategia: non più
delitti eclatanti; invece, la strategia degli accordi sotterranei di quell’universo
oscuro dei rapporti tra mafia, economia e società.
D.
– Il metodo Dalla Chiesa mirava a verificare le connivenze tra la mafia ed il potere
politico e imprenditoriale. Quali erano i punti forti di questo tipo di indagine e
cosa ne rimane, oggi?
R. – Il generale Dalla Chiesa
fu il primo a promuovere indagini patrimoniali e più approfondite su tutta una serie
di esponenti dell’economia, anche collegati con il mondo politico, che c’erano allora
in Sicilia. Quello è il metodo, e continua ad essere oggi, il metodo vincente.
D.
– Terrificante la connivenza tra mafia e politica. Ad oggi, può dirsi sradicato questo
legame?
R. – C’è stato un periodo storico subito
dopo le stragi in cui lo Stato finalmente ha avuto una reazione fermissima ed indusse
tutti coloro che prima avevano intrattenuto rapporti con la mafia a prendere le distanze.
Successivamente, pian piano, questi legami sono stati riannodati. L’esperienza del
passato insegna che quando lo Stato veramente adotta una politica di totale fermezza,
i potenziali collusi si ritraggono e lasciano i mafiosi da soli. Questa è la strada
che bisognerebbe ripercorrere.
D. – Il generale Siazzu
stamattina ha definito Carlo Alberto Dalla Chiesa un’icona del nostro tempo. Quale
eredità ha lasciato, secondo lei, alla Sicilia, all’Italia?
R.
– Il generale Dalla Chiesa ha lasciato a tutti noi che ci crediamo – e in tutt’Italia
siamo sicuramente la maggioranza, nonostante tutte le difficoltà, le amarezze e le
disillusioni – la capacità e la forza di credere nelle istituzioni, di avere il senso
dello Stato.