2007-09-03 15:03:45

25 anni fa la mafia uccideva il generale Dalla Chiesa, la moglie e l'agente di scorta


25 anni fa Cosa nostra uccideva il prefetto di Palermo Carlo Alberto Dalla Chiesa, la moglie Emanuela Setti Carraro e l'agente di scorta Domenico Russo. Il superprefetto venne inviato d'urgenza dallo Stato a Palermo, dopo gli omicidi del segretario siciliano del Partito Comunista, Pio La Torre, di Piersanti Mattarella, presidente della Regione siciliana, e Michele Reina, segretario della Democrazia Cristiana palermitana. Dalla Chiesa, era deciso ad andare fino in fondo "senza guardare in faccia nessuno". Da Palermo, il servizio di Alessandra Zaffiro.RealAudioMP3


Durante i cento giorni che precedettero la strage di via Carini, il prefetto cercò di promuovere la risposta dello Stato e di spezzare il legame tra mafia e politica. Ma le sue iniziative furono frenate da ostilità ambientali e da una ridotta capacità di intervento: Dalla Chiesa reclamò continuamente la concessione di poteri di coordinamento che non ottenne. Nell'ultima intervista che rilasciò a Giorgio Bocca, il generale disse: “Un uomo viene colpito quando viene lasciato solo”. Poche ore dopo l’agguato, qualcuno scrisse: “Qui è morta la speranza dei palermitani onesti”.

 
Questa mattina, per rendere omaggio alle vittime di via Isidoro Carini, una Messa nella chiesa di Santa Maria di Monserrato, concelebrata da monsignor Gioacchino Gammino e da don Luigi Ciotti. “E’ una commemorazione – ha detto mons. Gammino nell’omelia - che quest’anno fa i conti con una attualità più pressante e articolata che ci induce a ribadire fortemente: NO alla mafia e ai suoi delitti, NO alla criminalità delle estorsioni e del pizzo. Quanta tristezza nell’assistere impotenti alla distruzione di quanto persone laboriose hanno con sacrificio loro e delle loro famiglie, messo su per una economia virtuosa e benefica per la città e la regione”. “Fare memoria del Prefetto Dalla Chiesa – ha concluso mons. Gammino - significa anche ricordare tutto questo patrimonio umano di energie sane di cui è ricca la nostra società" e ci conferma che “la speranza non è morta”. Subito dopo, parenti delle vittime e istituzioni hanno deposto corone di fiori sul luogo dell'eccidio. Poi, alla presenza del sottosegretario all'Interno, Alessandro Pajno, l'intitolazione al generale Dalla Chiesa della caserma, sede del Comando Regione carabinieri Sicilia. Ma a che punto è oggi la lotta alla mafia e cosa è cambiato in Sicilia dalla strage di via Carini? Risponde, al microfono di Silvia Gusmano, Guido Lo Forte, procuratore aggiunto di Palermo.RealAudioMP3


R. – Indubbiamente, la lotta contro Cosa Nostra è ancora ben lontana dall’essere vinta, anche se certamente è possibile vincerla. Cosa Nostra ha cambiato strategia: non più delitti eclatanti; invece, la strategia degli accordi sotterranei di quell’universo oscuro dei rapporti tra mafia, economia e società.

 
D. – Il metodo Dalla Chiesa mirava a verificare le connivenze tra la mafia ed il potere politico e imprenditoriale. Quali erano i punti forti di questo tipo di indagine e cosa ne rimane, oggi?

 
R. – Il generale Dalla Chiesa fu il primo a promuovere indagini patrimoniali e più approfondite su tutta una serie di esponenti dell’economia, anche collegati con il mondo politico, che c’erano allora in Sicilia. Quello è il metodo, e continua ad essere oggi, il metodo vincente.

 
D. – Terrificante la connivenza tra mafia e politica. Ad oggi, può dirsi sradicato questo legame?

 
R. – C’è stato un periodo storico subito dopo le stragi in cui lo Stato finalmente ha avuto una reazione fermissima ed indusse tutti coloro che prima avevano intrattenuto rapporti con la mafia a prendere le distanze. Successivamente, pian piano, questi legami sono stati riannodati. L’esperienza del passato insegna che quando lo Stato veramente adotta una politica di totale fermezza, i potenziali collusi si ritraggono e lasciano i mafiosi da soli. Questa è la strada che bisognerebbe ripercorrere.

 
D. – Il generale Siazzu stamattina ha definito Carlo Alberto Dalla Chiesa un’icona del nostro tempo. Quale eredità ha lasciato, secondo lei, alla Sicilia, all’Italia?

 
R. – Il generale Dalla Chiesa ha lasciato a tutti noi che ci crediamo – e in tutt’Italia siamo sicuramente la maggioranza, nonostante tutte le difficoltà, le amarezze e le disillusioni – la capacità e la forza di credere nelle istituzioni, di avere il senso dello Stato.







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