Sibiu, occasione per rilanciare il dialogo tra i cristiani in Europa. Il parere della
pastora valdese, Tomassoni, a tre giorni dalla terza Assemblea ecumenica in Romania
Dieci anni di cammino ecumenico, da Graz '97 - nell'Austria a maggioranza cattolica
- a Sibiu 2007, nella Romania a maggioranza ortodossa. Mancano ormai solo tre giorni
all'apertura della terza Assemblea ecumenica europea, ospitata dalla località della
Transilvania eletta capitale della cultura dall'UNESCO. Oltre duemila delegati di
Chiese e comunità cattoliche, ortodosse e protestanti faranno il punto sul dialogo
costruito a partire dal primo appuntamento celebrato a Basilea, nel 1989. Fabio
Colagrande ha chiesto alla pastora valdese Letizia Tomassoni, vice presidente
della Federazione italiana Chiese evangeliche e delegata all'Assemblea di Sibiu,
quali aspettative nutra la sua Chiesa rispetto all'Assemblea di Sibiu:
R. -
Noi siamo chiamati ad essere segmento di riconciliazione, ad essere uno in Cristo,
ma anche ad essere segmento di riconciliazione rispetto alla società nella quale viviamo
come credenti e come Chiesa. Quindi, ci aspettiamo che Sibiu sia un luogo dove si
possano mettere a frutto i molti luoghi di collaborazione che già esistono sui temi
della giustizia in Europa, sulla lotta al razzismo, sui temi della costruzione di
una società solidale e che Sibiu diventi un filo di pace, una luce di pace che le
Chiese alla luce di Cristo cercano di offrire alla società europea. Naturalmente,
quello che ci aspettiamo è che l’essere insieme sotto la parola di Dio, ascoltarla
insieme, accoglierla insieme ci faccia fare esperienza della Chiesa una, che è la
Chiesa di Cristo. E, quindi, che Sibiu sia anche un luogo di esperienza di quella
Chiesa di Cristo, che va al di là delle nostre differenze confessionali.
D.
- Non sarà un momento per discutere, come tra l’altro spiega il documento preparatorio,
di questioni dottrinali, ma per conoscersi, incontrarsi e approfondire anche il ruolo
di una testimonianza comune...
R. - Sì, e soprattutto
capire quale sia la vocazione delle Chiese oggi in Europea. Dircelo e dirci quali
siano le nostre visioni di Europa e provare a costruirne una insieme. Naturalmente,
non credo sarà così difficile, perchè la comune fede cristiana già ci immette in una
dimensione in cui la giustizia, la solidarietà, la pace, il riconoscimento dei diritti
di ognuno, la lotta contro ogni forma di violenza, sono principi basilari.
D.
- Secondo la sua sensibilità particolare, dal punto di vista teologico e anche pastorale,
quale contributo specifico sociale, culturale, possono offrire oggi i cristiani nel
continente europeo, in questo momento storico?
R.
- Sono molti i piani su cui muoversi. Intanto, c’è tutta questa dimensione della violenza
contro le donne o i bambini e le bambine, che si sviluppa a partire, sostanzialmente,
da una mancanza totale di rispetto della fragilità e della presenza dell’altra persona.
Le Chiese, a partire dall’Evangelo, possono invece rimettere al centro l’attenzione,
la cura per l’altra persona, quella tenerezza che Gesù stesso manifesta nei confronti
delle persone che incontra e che porta a gesti di guarigione e di trasformazione.
Quindi, questo è senz’altro un livello sul quale le Chiese possono lavorare molto.
D. - Un altro livello è, come dicevo, quello della
costruzione di una società solidale, capace di accogliere, di creare comunità in cui
le differenze non siano disvalori, non diventino disparità, non diventino discriminazioni,
ma siano un arricchimento.