I giovani attendono con gioia l’incontro con il Papa a Loreto: così, ai nostri microfoni,
il presidente della CEI, mons. Angelo Bagnasco
E’ grande l’attesa a Loreto, fra quanti sono già arrivati per prepararsi all’incontro
con Benedetto XVI, l’1 e 2 settembre prossimi. Al microfono di Luca Collodi
il presidente della Conferenza Episcopale Italiana, mons. Angelo Bagnasco,
descrive cosa si aspettano i giovani da questo evento. Nell’intervista, l'arcivescovo
di Genova si sofferma anche sugli incendi di questi giorni provocati dai piromani
e sulla questione del rapporto fra Unione Europea e Chiesa cattolica in Italia. Ma
i giovani sono consapevoli dell’importanza dell’incontro con il Papa? Ecco la risposta
di mons. Bagnasco:
R. –
Sicuramente sì! Penso che molti a livello proprio di consapevolezza di coscienza,
altri – molto probabilmente – a livello più inconscio, di intuizione, di speranza,
auspicano che dall’incontro con il Santo Padre possa scaturire una risposta a quello
che è il cuore dei giovani anche di oggi. Nonostante tante apparenze, tanti fatti
contraddittori in cui si trova il mondo giovanile, episodi anche di grave incoerenza,
il cuore dei giovani oggi è profondamente e sinceramente alla ricerca di ideali alti,
di qualche cosa di grande per cui spendere la propria vita, le proprie energie. E
quindi, il mondo giovanile italiano – credente e non credente – penso che veda nella
figura del Santo Padre, in modo particolarissimo, una risposta agli ideali alti che
essi cercano e attendono.
D. – Uno degli aspetti dell’incontro di Loreto
riguarda anche il rispetto del Creato. Questi giorni sono stati al centro dell’attenzione
per il problema degli incendi. Lei che cosa può dire al riguardo, per esempio pensando
ai piromani?
R. – Una grande tristezza per queste
persone, innanzitutto, che vanno in giro a delinquere in questa forma, o in chiave
patologica – nel senso di "creare un film" di cui sono in qualche modo protagonisti
– oppure per motivi di puro interesse economico e di parte, individualistico. Poi,
certamente, il dolore nel vedere deturpato questo patrimonio naturale che è a disposizione
di tutti gli uomini come dono di Dio.
D. – Cosa può
fare la Chiesa per difendere la natura e il Creato?
R. – Una catechesi
sempre più mirata che richiami al fatto che il Creato è – appunto – “creato” da Dio
per amore degli uomini, perché sia il giardino, perché sia la casa, l’habitat dove
l’uomo può sentirsi a casa e quindi sviluppare al meglio le proprie potenzialità e
la dimensione sociale. Quindi, una catechesi che favorisca sempre di più e meglio
la coscienza delle persone, insieme ad una coscienza etica. E’ necessario recuperare
la dimensione etica dei valori, del bene e del male, del vero e del falso. Quindi,
non sono le emozioni o gli interessi particolari che possono essere il criterio della
moralità, ma i valori oggettivi che sono insiti nelle cose e che richiedono da parte
di tutti la consapevolezza e il rispetto.
D. – A
margine dell’incontro di Loreto, della Giornata del Creato, sulla stampa di questi
giorni troviamo articoli che riguardano il rapporto tra l’Unione europea e la Chiesa
cattolica in Italia, per presunte agevolazioni fiscali...
R. – Io spero
che ci sia un atteggiamento sereno, non pregiudiziale, non ideologico. E’ necessario
che ci sia un approccio alla Chiesa – senza pregiudizi, senza ideologie e senza interessi
di parte, espliciti o nascosti – e quindi si riconosca espressamente l’opera continua
che nei secoli la Chiesa ha posto in essere e continua a porre in essere a favore
dei più poveri e dei più deboli, mettendo a disposizione le risorse sia umane sia
economiche, finanziarie di cui dispone la comunità cristiana. Inoltre, bisogna considerare
– e anche questo è noto – che certe esenzioni riguardano tutti gli enti no-profit,
proprio per favorire, per riconoscere – innanzitutto – gli scopi di questi enti, tra
cui evidentemente la Chiesa, che si occupano concretamente, stabilmente e continuativamente
dei problemi dell’emarginazione, della fragilità, della debolezza, della povertà.
Questo ha una grande ricaduta a livello sociale.
D.
– Mons. Bagnasco, questo intervento dell’Unione Europea tocca in particolare il tema
della sussidiarietà, sul quale la Chiesa italiana è molto impegnata …
R.
– Certo. Penso e spero che questa presenza e questa azione di sussidiarietà che perdura
nei secoli e nei millenni da parte della Chiesa e della comunità cristiana in tutte
le forme, sia riconosciuta a tutti i livelli; non solo riconosciuta, ma anche riconosciuta
con stima, con fiducia e anche con gratitudine.
"Sentinelle
della sicurezza": sono gli oltre 1000 volontari al lavoro per la buona riuscita dell’incontro
di Benedetto XVI con i giovani a Loreto, di sabato e domenica prossimi. Riconoscibili
per i loro di pantaloncini blu e maglietta gialla, saranno un punto di riferimento
nella spianata di Montorso per qualsiasi tipo di emergenza o informazione. I volontari
sono coordinati da 60 capo-equipe che, dall’autunno del 2006, sono stati inseriti
in un apposito programma formativo. Dunque, il lavoro di preparazione dell’Agorà è
iniziato molto prima dell’incontro del prossimo fine settimana. Lo conferma al microfono
di Paolo Ondarza,Maurizio Bernassola, responsabile dei volontari dell’
"Agorà":
R. –
Il lavoro, in effetti, è iniziato molto prima. Noi abbiamo formato 60 capo-equipe
e abbiamo affrontato sia i problemi legati alla precarietà – la precarietà negli affetti,
nell’appartenenza alla Chiesa, la precarietà nel lavoro – e da lì poi abbiamo anche
proseguito nella formazione per quanto riguarda i servizi da svolgere all’interno
di Montorso.
D. – Vogliamo dire chi sono i volontari?
R.
– I volontari sono ragazzi dai 18 ai 35 anni; generalmente sono studenti. C’è anche
una buona percentuale già inserita nel mondo del lavoro. Ma sono anche ragazzi che
il sabato sera vanno in discoteca: come tutti, diciamo. Soltanto che hanno fatto una
scelta: destinare le ferie al servizio, un servizio che non sarà molto riposante,
come si può immaginare. Il compito loro affidato richiede un impegno quasi 24 ore
su 24 ...
D. – Perché un giovane sceglie di trascorrere
il periodo che dovrebbe essere di vacanza "controcorrente" spendendosi per gli altri?
R.
– Ogni ragazzo, ogni ragazza, porta nel suo bagaglio personale la motivazione per
cui ha scelto. Parlando con i ragazzi si nota il senso di appartenenza alla Chiesa
e anche questa voglia di incontrare Benedetto XVI e di ascoltare la sua parola. I
ragazzi sono stati colpiti dalla sua parola a Colonia: c’è questa voglia di ascoltarlo
di nuovo, perchè indichi la strada ...
D. – Qual
è l'auspicio dei volontari?
R. – Noi siamo quelli
al servizio per la migliore riuscita dell’incontro. Ma quello che non perdiamo di
vista è l’obiettivo finale: questo incontro per noi è evangelizzazione, è cercare
di portare all’altro, alla persona, la Parola di Dio e soprattutto la comunione tra
i ragazzi, il far vedere che è possibile servire veramente l’Amico che non tradisce
mai, che è Gesù, nella quotidianità ...
D. – Ecco: l’incontro con il
Papa, le sue parole sono da stimolo per continuare ad impegnarsi anche oltre Loreto
...
R. – Certo! Anche perché questa è l’ottica del
triennio dell’Agorà. Noi incontriamo il Santo Padre proprio per ricaricarci, per tornare
nelle nostre comunità, nella scuola o nel lavoro, al pub o in pizzeria, e cercare
di essere testimoni, testimoni di quell’Amore vero!
E
a Loreto giungerà anche la "Fiaccola di Lolek", che ha iniziato il suo cammino per
l’Europa in memoria di Giovanni Paolo II nel marzo 2006. Ieri, dunque, la fiaccola
è ripartita da San Pietro con i giovani pellegrini diretti a Loreto per incontrare
Benedetto XVI. A Roma, anche la inedita tappa nel penitenziario di Rebibbia, che ha
inteso rievocare il perdono concesso da Karol Wojtyla al suo attentatore Ali Agca
e consentire una partecipazione simbolica dei detenuti all’evento in programma questa
fine settimana. Il servizio di Silvia Gusmano:
E’ infuocato
dal sole il piccolo cortile della casa di reclusione di Rebibbia, dove alle quattro
del pomeriggio una trentina di detenuti aspettano l’arrivo della "Fiaccola di Lolek".
Giunge da lontano questa torcia che, accesa da Giovanni Paolo II nel 2000, ha già
percorso 15 mila chilometri illuminando i luoghi di culto di tutt’Europa. Dopo la
scomparsa del Pontefice, un gruppo di fedeli l’ha presa in custodia, l’ha ribattezzata
con il nome con il quale Wojtyla veniva chiamato nell’infanzia e l’ha condotta da
Roma sino a Cracovia nei due anniversari della sua morte. La "corsa-preghiera" di
Lolek è ripresa ieri mattina, quando i giovani diretti a Loreto per incontrare Benedetto
XVI hanno acceso la fiamma in San Pietro e si sono diretti al carcere romano di Rebibbia.
Qui, hanno consegnato ai detenuti la fiaccola passata di mano mano durante il corteo
che ha sfilato all’ombra delle alte mura carcerarie. Profondo il valore simbolico
dell’iniziativa e dell’invito rivolto ai presenti da una delle madrine della Fiaccola,
Alessandra Gallo:
“Vogliamo
che tutti siano con noi, anche se solo spiritualmente. Per questo volevamo incontrare
questi giovani detenuti e dire loro: ‘Non siete soli, non perdete mai la speranza,
e che questa luce scaldi sempre i vostri cuori’”.
Nel
corso di una breve cerimonia, uno dei cappellani di Rebibbia, don Massimiliano
Dilisa, ha spiegato che la presenza di questa luce speciale tra chi vive
dietro le sbarre ricorda anche il perdono concesso da Giovanni Paolo II al suo attentatore
Ali Agca. La fiaccola simboleggia l’amore di Dio Padre verso tutti i suoi figli, come
ha sottolineato il sacerdote:
“Non è per i nostri
meriti che il Signore ci ama, ma Lui ci ama dall’inizio. Nel momento in cui ci accorgiamo
di questo, nasce in noi una luce, una spinta nuova. Lui non ci giudica, Lui non ha
bisogno di chissà quali prove: ci ama e basta!”.
Qualche
sorriso ha illuminato il volto dei presenti, molti hanno abbassato lo sguardo. E uno
di loro, a nome di tutti, ha ringraziato il Santo Padre “perchè - ha detto - questa
luce giunge, come un segno di speranza tra chi non sorride mai”.