La famiglia è determinante nel recupero dei tossicodipendenti: così, ai nostri microfoni,
Andrea Muccioli della Comunità di San Patrignano
Cresce nel mondo la produzione di cocaina, che dal 2001 al 2006 ha segnato un incremento
del 19 per cento. Dato ancora più preoccupante, segnalato dalla Relazione semestrale
2007 della Direzione Centrale italiana per i Servizi Antidroga, è l’aumento della
produzione dell'eroina afgana, cresciuta, nel 2006, quasi del 49 per cento. Sono cifre,
queste, che sottolineano quanto sia ancora oggi diffusa la tossicodipendenza e quanto
impegnativo sia il lavoro per le comunità di recupero. Una delle più attive in Italia
è la Comunità di San Patrignano, che ospita circa 1800 persone, impegnate ad uscire
dal tunnel della droga. Ma è possibile dire basta alla tossicodipendenza in modo definitivo?
Francesco Biagiarelli lo ha chiesto ad Andrea Muccioli, che da oltre
10 anni guida la Comunità di San Patrignano, fondata da suo padre, Vincenzo:
R. –
Se non esistesse la possibilità di reinserimento, noi avremmo fallito il nostro compito.
Noi non accogliamo i ragazzi perché si rifugino in un luogo lontano dal mondo. Li
accogliamo e cerchiamo di sostenerli dando loro quegli strumenti di educazione, di
formazione, di riscoperta di se stessi che devono servire loro proprio per allenarsi
a sostenere gli impegni, la competizione, i problemi, le fatiche, i disagi del mondo
quando saranno soli ad affrontarli. Formarli ad una professione, renderli capaci di
sostenere i rapporti con gli altri, di ricostruire i propri rapporti familiari, trovare
una spiritualità, delle motivazioni ed un senso alla propria vita fa parte di questo
futuro che loro poi vivranno, appunto, in proprio.
D.
– Qual è il ruolo che dovrebbe o deve avere la famiglia di questi ragazzi, sia prima,
sia durante e dopo questo percorso?
R. – Distinguerei
due fasi, due contesti diversi: quello delle famiglie che devono impegnarsi a fornire
il luogo dell’educazione, la propria presenza, soprattutto il proprio esempio, un
esempio fatto non di parole ma di comportamenti vivi, presenti e concreti. Questo
è l’anticorpo più potente che esista come prevenzione all’uso di droga e a percorsi
di fuga dalla realtà. Quando questo contesto educativo, questi rapporti familiari,
questo incontro tra generazioni, questo esempio educativo non c’è o non funziona,
nascono dei motivi di disagio che sono poi quelli che per lo più spingono un ragazzo
a ricercare scorciatoie o percorsi di fuga dalla realtà e ad affrontare i propri disagi,
le proprie fatiche, la propria mancanza di punti di riferimento utilizzando sostanze
– appunto – che fanno loro credere che la vita sia migliore, che non ci sono i problemi
che non si sentono capaci di affrontare. In questo caso, quando poi si manifesta questo
disagio e prende le forme della tossicodipendenza, di un disagio estremo, dell’emarginazione,
quando accogliamo i ragazzi in comunità alle loro famiglie noi diciamo che il percorso
di ricostruzione, il percorso di fatica e di lavoro su se stessi per ritrovare e dare
un senso alla propria vita e ai propri rapporti, non riguarda solo i ragazzi ma riguarda
molto in profondità anche le famiglie che devono, appunto, impegnarsi a capire che
cosa non ha funzionato e come cercare di ricostruire quella tela straordinaria, ma
molto piena di cicatrici e di sofferenze che è il loro rapporto famigliare e che spesso
non riguarda solamente il rapporto di genitori con il figlio che ha un problema di
droga, ma anche del rapporto tra coniugi, del rapporto anche con gli altri figli.