All'insegna dei diritti umani, la giornata conclusiva del Meeting di Rimini
Giornata conclusiva per il "Meeting per l'amicizia tra i popoli", a Rimini. L'attenzione
è puntata a questo pomeriggio, quando si terrà la presentazione del libro di don Luigi
Giussani "Certi di alcune grandi cose". In primo piano nella mattinata, invece, è
stato il dibattito sui diritti umani. Gli ultimi due secoli hanno registrato grandi
conquiste, ma anche grandi disastri. Un percorso testimoniato al Meeting da alcuni
coraggiosi protagonisti della lotta pacifica anche se dolorosa per la conquista della
verità e della libertà. Il servizio della nostra inviata, Gabriella Ceraso:
All'epoca
di Khomeini, Marina Nemat, 17 anni, è arrestata, torturata e condannata a morte a
Teheran solo perché ha protestato con il suo insegnante di matematica, che ha tenuto
una lezione sull'Islam, e non sulla sua materia. Violentata da una guardia che la
costringe a sposarla, riesce a sfuggire all'esecuzione all'ultimo minuto e ora, dal
Canada dove vive ha deciso di raccontare la sua storia:
(Marina
Nemat) "Da quando è uscito, il mio libro è stato attaccato verbalmente dai
comunisti, dai marxisti, dagli islamisti. Quindi, non è un compito facile dire la
verità".
"Non ci siamo resi conto - ha proseguito
- di come la Rivoluzione divenisse dittatura, io stessa senza processo e senza capire
perché, mi sono ritrovata in carcere e ho visto tanti morire lì come succede anche
oggi, eppure non ho mai distolto l'attenzione dalla Verità".
(Marina
Nemat) "Penso che si possano perdonare delle persone, dei singoli, ma non
si può mai perdonare un sistema che genera questa tortura. Io ho deciso che non avrei
avuto pace fin tanto che non avessi perdonato".
Denunce
anche dall'Europa. In Bielorussia manca la libertà d'espressione - afferma al Meeting,
Aleksander Milinkevich, leader dell'opposizione e attivista democratico - ma anche
la coscienza è oppressa:
(Aleksander Milinkevich) "Dall'inizio
di quest'anno, oltre 25 persone sono state deportate: sacerdoti, religiosi, monaci.
La legge della Bielorussia sulla libertà di coscienza paralizza, blocca qualsiasi
attività evangelica delle comunità cristiane in Bielorussia". Ma
la risposta, anche in questo caso, non è lo scontro col regime, ma una lenta e pacifica
inculturazione della libertà.