L'Irlanda del Nord è stata un laboratorio di ecumenismo e riconciliazione: così, ai
nostri microfoni, l'arcivescovo di Dublino, Diarmuid Martin
La storia dell'Irlanda del Nord ci insegna che la pace è possibile e che la fede può
essere uno strumento straordinario di riconciliazione. Ne è convinto l'arcivescovo
di Dublino, Diarmuid Martin, che proprio sul tema è intervenuto, in questi
giorni, al Meeting di "Comunione e Liberazione" a Rimini. Al microfono di Luca
Collodi, mons. Martin si sofferma sul valore della preghiera nel consequimento
della pace nell'Irlanda del Nord:
R. –
La pace è anche il frutto delle preghiere di tante persone. Le preghiere delle donne,
delle madri, delle famiglie che da tanti anni volevano un futuro migliore per i loro
figli, un futuro di sicurezza, di speranza. C’erano, però, anche persone nelle comunità
locali, leader religiosi, sacerdoti, pastori protestanti, che con grande coraggio
si sono tesi la mano; hanno ripreso il dialogo che era rimasto interrotto per decenni
e hanno fatto dei piccoli gesti che hanno contribuito a creare nuova fiducia. Il processo
di pace in Irlanda del Nord è stato accompagnato – e anche questo è molto importante
– da un referendum, nel Nord e nel Sud, accettato a stragrande maggioranza. Coloro
che per anni hanno parlato in nome del popolo giustificando le loro azioni terroristiche,
sono stati sconfessati dal popolo stesso: il popolo si è espresso chiaramente in favore
della pace. Anche i leader di questi movimenti: alcuni hanno avuto il coraggio e la
lungimiranza di elevarsi al di sopra del tribalismo e farsi carico della responsabilità
della leadership; hanno avuto il coraggio di farlo, conducendo in tal modo il loro
popolo fuori da pregiudizi esistenti da secoli. A lungo termine, certo, il processo
dipenderà dalla gente, dalle persone che vivono nei paesi; dalle persone che seguono
strade diverse, separati gli uni dagli altri. Sono loro stessi che hanno espresso
la loro stanchezza e il loro desiderio di avere una vita normale, europea, moderna,
matura. Poi anche i leader religiosi hanno portato il loro contributo di pazienza,
di denuncia e di annuncio di un messaggio di pace.
D.
– C’è un po’ di ecumenismo anche nella pace in Irlanda del Nord?
R.
– C’è chi pensa al conflitto in Irlanda del Nord come un conflitto tra religioni;
invece, l’Irlanda del Nord è stata per anni un laboratorio dell’ecumenismo e della
riconciliazione. Ci sono state tante esperienze da parte di comunità religiose, che
hanno lavorato per anni, qualche volta anche dovendo uscire dall’Irlanda del Nord,
per realizzare incontri pacifici e per costruire questo nuovo clima di amicizia e
di comprensione, necessario per il futuro del processo di pace.
D.
– La pace reggerà per il futuro?
R. – La pace reggerà
se si promuove la partecipazione. Per tanti anni la comunità si è sentita abbandonata
dalla politica; le persone, invece, vogliono essere partecipi, protagonisti della
costruzione del loro futuro. Allora, io spero che i politici riescano a superare quella
che io chiamo la “politica della storia”, tutta fondata sul passato, su eventi accaduti
400 anni fa, per passare ora alla politica del pragmatismo, per costruire una società
degna, giusta per tutti i cittadini, senza discriminazione. Se riescono a fare questo,
il processo avrà successo. Se invece la gente si sentirà nuovamente dimenticata e
delusa, allora il processo sarà indebolito e potrebbero intervenire nuovamente elementi
radicali.