In Bangladesh e Myanmar i militari reprimono le proteste democratiche
Due Paesi asiatici – Myanmar e Bangladesh- investiti da una stessa ondata di proteste
contro i regimi militari al potere. Studenti e società civile in piazza per il diritto
ad una vita più dignitosa e per la democrazia. Sentiamo il servizio di Benedetta
Capelli:
Paesi
confinanti e alle prese con contestazioni interne. E’ il destino del Bangladesh e
del Myanmar, ex Birmania, dove la tensione si tocca con mano. Il governo militare
del Bangladesh, salito al potere l’11 gennaio del 2006, ha imposto ieri il coprifuoco
a tempo indeterminato nella capitale Dacca e in altre cinque città per cercare
di arginare le proteste scattate per il caro-vita, per l’imposizione dello stato d’emergenza
- deciso dall’esecutivo contro la corruzione nel Paese - ma anche per la richiesta
di elezioni anticipate. Cuore dell’agitazione: le università dove, il 20 agosto scorso,
sono iniziati i disordini in seguito al pestaggio di due studenti da parte dei militari.
Gli incidenti hanno provocato una vittima e circa 200 feriti. Il movimento studentesco
è comunque appoggiato dalla società civile, insofferente al regime che, proprio per
la sua battaglia alla corruzione, ha procrastinato la data delle elezioni democratiche
verso la fine del 2008. Regime in difficoltà anche in Myanmar, ex Birmania,
dove da almeno tre giorni si susseguono le manifestazioni di piazza contro la giunta
militare che ha di colpo aumentato il prezzo del carburante del 500 per cento. Una
quarantina di militanti pro-democrazia sono scesi in strada stamani nella capitale
Yangoon contro il caro-vita, tra questi esponenti della Lega nazionale per la democrazia,
il partito che fa capo all’oppositrice Aung San Suu Kyi, da anni agli arresti
domiciliari. Una manifestazione durata pochi minuti e bloccata dall’intervento dei
soldati che hanno portato via i dimostranti. Solo ieri 150 persone avevano sfilato
a Yangoon prima di essere fermati, 10 gli arrestati che si assommano ai 13 di domenica,
tutti appartenenti a Generazione 88, il gruppo che prende il nome dalle rivolte studentesche
di quell’anno, represse nel sangue. Intanto le condizioni di vita della popolazione
stanno peggiorando sensibilmente sia per le sanzioni imposte da numerosi Paesi sia
per la destinazione di risorse all’esercito. Provvedimenti che rendono la ex Birmania
una delle nazioni più povere al mondo.
Ad accomunare questi due Paesi
asiatici, oltre ai duri regimi militari che li governano ormai da decenni, anche l’apparente
indifferenza della comunità internazionale. Stefano Leszczynski ha chiesto
a Stefano Vecchia, giornalista esperto dell’area asiatica, quali i motivi di
questo disinteresse:
R. –
Direi che nei confronti della ex Birmania giochi l’alleanza di ferro tra il regime
birmano e la Cina, pertanto nell’insieme dei rapporti internazionali attuali, in cui
Pechino gioca un ruolo di primo piano, ci sono molte difficoltà da parte della diplomazia
internazionale di intervenire con misure ancora più pressanti, che non siano già le
sanzioni economiche sul regime birmano. Per quanto riguarda il Bangladesh c'è molta
povertà. Ci sono pochi interessi internazionali su questo Paese e nuove sanzioni affonderebbero
del tutto quella già risicata economia che gli permette di sopravvivere. Un’altra
questione, che non va sottovalutata, è che il Bangladesh è un Paese di 148 milioni
di abitanti, al 95 per cento musulmani, e una pressione troppo forte dall’estero,
in particolare dai Paesi occidentali, potrebbe essere negativa in questo senso.
D.
– Per quanto riguarda il Myanmar, è un Paese dove il principale esponente dell’opposizione,
Aung San Suu Kyi, è ancora gli arresti ed ha una visibilità internazionale abbastanza
forte...
R. – La signora Aung San Suu Kyi è un premio
Nobel per la pace, una figura carismatica che però è agli arresti domiciliari ormai
da molti anni. La speranza della Giunta è che prima o poi decida di lasciare questo
suo impegno. Non ci sarebbe a questo punto nessuno ostacolo ad una dittatura vera
e propria che oggi invece ha una qualche finzione di democrazia.
D.
- La storia ci ha insegnato che i regimi autoritari non durano in eterno. Ci sono
delle aspettative, in questo senso, per questi due Paesi asiatici?
R.
– La speranza c’è sempre, come hanno dimostrato altre realtà. Sono però situazioni
diverse. Il Bangladesh ha una popolazione molto giovane con una forte disoccupazione
ma la pressione al rinnovamento necessariamente arriverà da loro. Per quanto riguarda,
invece, la Birmania, forse l’elemento scatenante potrebbe essere proprio la fame.
Un aggravarsi ulteriore della crisi economica, già pesante, è unita ad una crescente
aspettativa di democrazia ed anche di benessere di questa popolazione di quasi 50
milioni di abitanti, che era tra le più ricche, o quanto meno tra quelle che meno
avevano problemi fino al secondo dopoguerra, e che invece negli ultimi decenni è piombata
nel baratro del sottosviluppo.