Il discorso su ragione e fede pronunciato un anno fa dal Papa a Ratisbona al centro
del Meeting di Rimini. Intervista con il docente universitario ebreo Joseph Weiler:
"La moneta del Papa è la verità"
L’appello del Papa lanciato un anno fa a Ratisbona ad “aprirsi all’ampiezza della
ragione” è stato al centro ieri di un dibattito al Meeting di Rimini, evento che quest’anno
Comunione e Liberazione ha voluto organizzare sul tema cruciale della “verità”. Al
confronto hanno partecipato studiosi cristiani, musulmani ed ebrei: tra questi il
prof. Joseph Weiler, docente alla New York University, esperto di Diritto
internazionale ed europeo, ebreo, nato in Sudafrica. Il prof. Weiler non si è soffermato
tanto sul noto discorso di Benedetto XVI all'Università di Ratisbona, il 12 settembre
scorso, ma sulle omelie pronunciate dal Papa durante il suo viaggio in Baviera, e
che sottolineavano con forza la ragionevolezza e la libertà della fede. Ascoltiamo
il prof. Weiler al microfono di Luca Collodi:
R. –
La prima cosa che ho trovato, di nuovo, è stato il pensiero del Papa sulla libertà.
Di solito, la Santa Sede, e anche il Papa, affermano che la libertà religiosa è la
libertà fondamentale. Nella nostra cultura largamente secolarizzata, questo si accetta
con un sorriso di compiacenza: “Quale libertà possiamo aspettarci che sia privilegiata
dal Vaticano?”. Ma a Ratisbona, c’è una frase nell’omelia che mi ha colpito. Dice
il Papa: “La nostra fede non la imponiamo a nessuno”, e questo riflette anche la famosa
espressione di Giovanni Paolo II nella “Redemptoris missio”: “The Church proposes,
it never imposes”: “La Chiesa propone, non impone mai”. Per me, la libertà religiosa
vera non è soltanto la libertà dei fedeli di praticare la loro religione. Nella nostra
tradizione ebrea si dice: “Tutto nelle mani di Dio, tranne l’amore di Dio”. La libertà
religiosa è la libertà di dire “no” a Dio. Soltanto chi ha la capacità interiore ed
esteriore di dire “no” a Dio, quando gli dice di “sì”, questo “sì”, questa affermazione
viene dalla volontà sovrana dell’essere umano. Allora, quando il Papa difende la libertà
religiosa – e qui c’entra anche il discorso tra le varie religioni, la coercizione
eccetera – non è soltanto perché sia consentito al cristiano di praticare la propria
religione in questo o quel Paese; c’è un senso molto più profondo della libertà. La
libertà religiosa vera è anche dire di “no” a Dio. E soltanto da questo punto di vista
il “sì” a Dio diventa significativo, perché mostra l’essere umano nella sua sovranità
che esercita nell’accettare la Parola di Dio. “La fede può svilupparsi soltanto nella
libertà”, dice il Papa. Cosa vuol dire? Soltanto da una scelta libera di un Uomo libero,
che è anche libero di rifiutare la salvezza, che è libero anche di rifiutare Dio.
La libertà è fondamentale. La fede si può sviluppare soltanto nella libertà: “quella”
libertà. Ecco perché la coercizione religiosa non è una vera scelta religiosa. E la
salvezza è sempre lì ad aspettarci, ma dipende dalle nostre decisioni. Alla fine,
Dio ci ha creati proprio in questo senso: con la possibilità di scegliere o rifiutare.
D. – Prof. Weiler, l’uso della ragione può rafforzare
l’identità cristiana e la dimensione pubblica della fede?
R.
– Io penso di sì. Questo è uno degli aspetti più importanti dei discorsi di Ratisbona.
Tra i cristiani – secondo me, purtroppo! – c’è stata una interiorizzazione della posizione
laica, secondo la quale la ragione sarebbe contro la fede. Il cristiano stesso comincia
a credere: “La mia fede è una cosa misteriosa, una cosa che non posso spiegare, che
non è collegata alla ragione”, eccetera. Quasi quasi, il cristiano moderno, nei Paesi
occidentali, è imbarazzato nell'ammettere che è una persona di fede. Perché? Perché
la fede non è una cosa razionale – secondo questo pensiero. Allora, il Papa – che
insiste sul fatto che la fede stessa è radicata nella ragione, e che infatti la ragione
scientifica è molto limitata, anche se vera: ci sono problemi che non vengono affrontati
dalla ragione scientifica – incoraggia il cristiano ad essere fiducioso non soltanto
nella sua fede, ma anche ad avere il coraggio di integrare la sua fede nella totalità
della sua vita, sia privata, sia pubblica. In questo senso è fondamentale che il cristiano
esca dal ghetto che egli stesso si è imposto e si manifesti con fiducia come una persona
di fede, radicata nella ragione. Questo è molto importante per l’identità comune,
collettiva del cristiano nella società laica europea.
D.
– E sul rapporto tra le religioni, la ragione che cosa ci dice?
R.
– Lì il Papa è formidabile. Perché è formidabile? Perché non cerca di nascondere le
differenze. Quando ha tenuto la sua omelia, nella Messa di domenica 10 settembre,
ha raccolto una sfida, per un uomo di pace come egli è, perché la Lettura biblica
scelta dalla liturgia della Chiesa era tratta da Isaia, “Ecco il vostro Dio: giunge
la vendetta”, proclama il Profeta Isaia. Il Papa, giustamente, si chiede in che modo
il popolo che ascolta questa Parola – e anche chi lo legge oggi – può immaginare quella
“vendetta”. La nostra risposta spontanea sarebbe che il Profeta Isaia qui è tutt’altro
che pacifico: “La vendetta”! Invece, il Papa lo interpreta alla luce della tradizione
cristiana come non-violenza: amore fino alla fine. La spiegazione definitiva della
Parola del Profeta la troviamo in Colui che è morto per noi sulla Croce, in Gesù,
Figlio di Dio incarnato, che qui ci guarda così insistentemente. La sua “vendetta”
è la Croce: così dice il Papa. Come ebreo, io mi ribello a interpretare la Parola
di Isaia in questo modo: non potrò mai accettare che queste semplici parole del Profeta
siano riferite alla Trinità. Ma Benedetto continua ancora: “Non veniamo meno al rispetto
di altre religioni e culture; non veniamo meno al profondo rispetto per la loro fede
se confessiamo ad alta voce e senza mezzi termini quel Dio che alla violenza ha opposto
la sua sofferenza”. A me piace! Perché quando parla ai suoi fedeli, dice quello che
dice quando parla ai fedeli di altre religioni. La sua moneta è la Verità. E per lui,
la Verità è quella Verità alla luce della quale ha interpretato Isaia, e anche se
io non potrò mai accettare questa interpretazione, sono d’accordissimo con il Papa
quando dice che “non veniamo meno al rispetto di altre culture, di altre religioni”:
non mi sento offeso! Perché, secondo me la disonestà non potrà mai e poi mai essere
alla base di un vero dialogo. Il suo affermare la verità cristiana è il solo modo
di esprimere un rispetto profondo per la mia fede. Se avesse cercato di smussare la
cosa, non sarebbe stato un atto di rispetto verso di me. Per me, questo è il carisma
tutto particolare di questo Papa: la serenità che nasce dalla ragione. Un altro tipo
di passione: la passione per la ragione sembra una contraddizione: passione e ragione
non vanno insieme. Invece, il suo carisma è proprio la passione per la ragione. Mi
piace molto!