Un convegno a Stresa celebra Clemente Rebora, a 50 anni dalla morte, e Antonio Rosmini,
nell'imminenza della beatificazione
“Bellezza, filosofia, poesia”: questo il titolo dell’ottavo corso dei “Simposi Rosminiani”
che da oggi a sabato si tiene a Stresa, nel suggestivo scenario del Lago Maggiore.
L’evento intende celebrare sia il 50° anniversario della morte del poeta italiano
Clemente Rebora, sia l’imminente beatificazione di Antonio Rosmini, che avverrà a
Novara il 18 novembre. Nel corso del convegno verrà dedicata una stele-ricordo a
Rebora nei giardini del lungolago di Stresa. Il Centro Internazionale di Studi Rosminiani
ha messo in palio 70 borse di studio per i giovani interessati al corso. Tra i relatori
figura anche padre Umberto Muratore, direttore del Centro Internazionale di
Studi Rosminiani e provinciale dei rosminiani italiani. Giovanni Peduto gli
ha chiesto di tracciare un profilo di Clemente Rebora:
R. -
Clemente Rebora è un raro esempio di letterato della prima metà del Novecento. Nato
al di fuori della cultura cattolica, visse fino a 45 anni nella tormentata ricerca
di una scelta che desse senso globale alla vita. Finché un giorno, all’improvviso,
capì che era Cristo il senso da lui cercato. Si convertì, si fece rosminiano e sacerdote,
visse in totale nascondimento. Gli ultimi anni furono anni di purificazione attraverso
il dolore fisico e spirituale che gli fecero toccare gli apici dell’esperienza mistica.
Le sue poesie laiche cantano le lacerazioni cui va incontro l’anima lontana da Dio,
mentre quelle religiose cantano il prezzo che bisogna pagare per crescere nella santità.
D.
- Se nelle poesie di Rebora si coglie l’anelito alla santità, che cosa si può cogliere
nelle opere filosofiche di Rosmini?
R. - Scopo del
convegno è proprio dimostrare che poesia reboriana e filosofia rosminiana si incontrano
nell’esprimere, o meglio nel cantare, l’esigenza battesimale della santità, unico
fine comune della creatura intelligente. Sotto questo punto di vista, tutta la ricerca
rosminiana non è altro che una “filosofia orante”, cioè una filosofia che dispone
l’uomo ad accettare il dono della salvezza.
D. -
Qual è il legame comune fra poesia, filosofia e bellezza?
R.
- La bellezza, spiegano Rebora e Rosmini, quando si coglie nelle cose non è altro
che il riverbero di un’altra bellezza, quella assoluta di Dio, il solo santo. Per
cui, più l’uomo nel pensare e nell’agire si adegua alla volontà di Dio, più è in grado
di salire alle sorgenti della bellezza, più diventa bello egli stesso. Cristo, dicevano
i Padri della Chiesa, è il più bello di tutte le creature. E il santo, nella sua somiglianza
a Cristo, partecipa della bellezza del Cristo.
D.
– Ancora una domanda, padre Muratore: che significato ha, oggi, la beatificazione
di Rosmini?
R. - Io vedo la beatificazione di Rosmini
non tanto come un atto di giustizia e di riconoscimento dovuto, ma soprattutto come
una promessa ed un segno per il futuro. Rosmini oggi può essere molto utile alle anime
come maestro e testimone di una santità integrale, che porta verso Dio in modo compatto
e senza lacerazioni, tutto l’uomo, cioè l’intelligenza, gli affetti, l’agire. La sua
è una santità integrale, che non mortifica nulla e avanza con la consapevolezza di
quello che fa. Frequentandolo si impara a pensare, ad amare, ad agire in grande. Una
lezione alta e rara in un mondo globalizzato, dove la mancanza di valori solidi ha
reso la società tutta liquida. In Rosmini ci sono, compendiati insieme, luce di verità
e fuoco di carità. Insomma, la beatificazione di Rosmini è un segnale che la Chiesa
dà a chi è in cerca di stimoli nuovi e convincenti per alimentare il suo amore per
Dio e per il prossimo.