Benedetto XVI ci invita a vivere in comunione con i cristiani che soffrono per
testimoniare la verità: la riflessione del prof. Baggio sulle parole del Papa, ieri
all’Angelus
Quanti “intendono seguire Gesù e impegnarsi senza compromessi per la verità devono
sapere che incontreranno opposizioni e diventeranno, loro malgrado, segno di divisione
tra le persone”. All’Angelus di ieri, Benedetto XVI ha messo l’accento sulle asperità
che la testimonianza del Vangelo comporta per ogni cristiano. Ed ha esortato i fedeli
ad impegnarsi quotidianamente “a vincere il male con il bene”, anche “pagando di persona
il prezzo che questo comporta”. Per una riflessione su queste parole del Pontefice,
Alessandro Gisotti ha intervistato il prof. Antonio Maria Baggio, docente
di Etica sociale alla Pontificia Università Gregoriana:
R. -
Il male ha le sue logiche e ha la sua consistenza, per cui anche senza volerlo cercare,
soltanto proponendosi di vivere il bene, si entra in contrasto col male. E non che
il male abbia una qualche necessità o utilità per produrre il bene, questo assolutamente
no, però a volte è inevitabile, nel senso che non si riesce ad impedire che altri
lo facciano. E allora sono molti i luoghi nella terra dove i cristiani sono perseguitati
per queste loro scelte verso il bene o semplicemente gli uomini di buona volontà vedono
negati i loro diritti. Quello che il Papa mi sembra inviti a fare è cercare di avere
una comunione profonda, in particolare con questi luoghi dove ci sono sofferenze acute,
perché questo ci fa anche misurare meglio le nostre, dei Paesi dove ci sono maggiori
comodità.
D. - Il Papa ancora una volta ci invita
a non essere tiepidi nella testimonianza del Vangelo, come ci invita a dare ragione
della nostra speranza. Come contemperare, dunque, le esigenze della verità con quelle
della carità?
R. - Credo non si debba demonizzare
l’altro, perché tutti siamo potenzialmente capaci di male. Bisogna sapersi perdonare
avere misericordia verso se stessi e verso gli altri.
D.
- Per essere fedeli a Dio, a Cristo, ha avvertito il Papa, dobbiamo necessariamente
affrontare incomprensioni, perfino persecuzioni: qualcosa che può spaventarci, ma
in fondo, come il Papa ha ricordato nella Messa dell’Assunta, è la storia della Chiesa
dalle origini alla fine dei tempi…
R. - Sì, è vero.
Abbiamo distinto tra Paesi in cui ci sono grandi difficoltà e persecuzioni esplicite
e Paesi invece in cui la vita cristiana sembra potersi condurre in maniera più semplice
e più facile. Ma forse sembra più facile perché non andiamo fino in fondo, con la
coerenza che il cristianesimo invece esigerebbe. Pensiamo a cosa significhi essere
onesti fino in fondo nei nostri Paesi: non approfittare delle situazioni, di potere
essere coerenti sia nella morale sessuale che in quella della giustizia. Allora c’è
la possibilità di andare contro corrente e, dunque, di esporsi a incomprensioni e
persecuzioni anche nelle nostre civilissime società occidentali, che in maniera subdola
spingono a fare un male che non è eclatante, non è magari molto visibile, ma è ben
reale, esattamente come quello che si vede da lontano.
D.
- Si può dire che questa chiarezza di Benedetto XVI porta anche a quella divisione
che la verità esige?
R. - Sì, porta una divisione,
perché la verità fa riconoscere il vero che poi deve diventare anche una cosa buona.
La verità mi indica un bene che poi io devo scegliere, devo privilegiare, rispetto
ad altri beni minori o al male. Credo che si possa ricavare da tutto questo insieme
di considerazioni però anche l’altra faccia della medaglia: è vero che la verità divide,
è vero che c’è la spada, che c’è la divisione, ma tutto questo, paradossalmente, crea
nuove comunità. Dobbiamo essere capaci di metterci insieme tra coloro che vogliono
il bene, perché da soli è difficile resistere alla persecuzione, all’incomprensione,
alla calunnia. Se invece noi cerchiamo coloro che proprio per aver fatto scelte verso
il bene vengono emarginati dagli altri, possiamo costruire nuove comunità.