Il Magistero di Benedetto XVI ci esorta a riconoscere la vera identità della Chiesa:
così, l’arcivescovo Bruno Forte sui tentativi di riduzionismo dell’istituzione ecclesiale
a mera ONG
E’ notizia di questi giorni che il governo ugandese intende ridurre lo status della
Chiesa a semplice Organizzazione non governativa. Una tendenza, sottolinea oggi il
quotidiano della CEI, Avvenire, in atto anche in altri Paesi del sud del mondo.
D’altro canto, a metà luglio, il settimanale britannico The Economist aveva
chiesto alla Santa Sede di rinunciare al suo “status diplomatico” e di definirsi "la
più grande ONG del mondo”. Per una riflessione su queste visioni riduttive della Chiesa,
Alessandro Gisotti ha intervistato il teologo mons. Bruno Forte, arcivescovo
di Chieti-Vasto:
R.
– Esse nascono da una chiarissima interpretazione ideologica del ruolo della Chiesa,
che è assolutamente incapace di coglierne il mistero profondo, quel senso ultimo che
ogni credente che viva l’esperienza della grazia riesce a percepire. Agli occhi delle
potenze in gioco in questo mondo, di qualunque genere e in modo speciale di carattere
economico, la Chiesa non può che apparire come una agenzia tra le altre nel gioco
delle forze della storia. Voler ridurre a questo la Chiesa significa, però, tradirne
l’anima più profonda. Io non esito a vedere in questi tentativi precisamente dei condizionamenti
ideologici; ma chi vive la Chiesa dal di dentro non può che resistere a questi tentativi
perché la Chiesa non è semplicemente un’agenzia sociale – lo è anche: è innumerevole
la quantità di bene che essa fa nel mondo, ma tutto questo lo fa per una ragione profonda,
una forza, una speranza, un amore che non sono riducibili alle pure coordinate dell’economia
o del potere politico.
D. – Queste visioni riduttive
della natura, dell’identità della Chiesa, possono assimilarsi in un certo senso a
quei tentativi su cui più volte ci ha richiamato Benedetto XVI, di espulsione della
fede e dell’elemento religioso dalla dimensione pubblica?
R.
– Una costante del magistero di Papa Benedetto XVI sia il richiamo alla dimensione
soprannaturale e mistica della Chiesa. Anche la “Deus caritas est” è particolarmente
forte su questo punto, nel mettere in evidenza come l’amore, quello puro, vero, alto,
gratuito viene da Dio e torna a Dio, coinvolgendo il cuore dell’uomo. Papa Benedetto
osserva anche come la Chiesa, che è la Chiesa dell’amore, è il popolo di quanti si
riconoscono amati nell’amato, non possa essere ridotta ad una mera agenzia sociale
dove il servizio agli altri è fatto solo per motivazioni di impegno professionale
o di guadagno economico o anche di principi umanitari generici. La Chiesa è la comunità
di quelli che riconoscono la sorgente della carità che li spinge ad agire non in se
stessi ma in Dio.
D. – Questi riduzionismi fanno
venire in mente anche le parole di Papa Benedetto alla Messa dell’Assunta, quando
il Pontefice ha avvertito come oggi il potere anti-cristiano – il drago rosso dell’Apocalisse
di Giovanni – esista nella forma delle ideologia materialiste con tutta la loro forza
mediatica e propagandistica ...
R. – L’Apocalisse
è una teologia della speranza sotto forma della teologia della storia. Come tale,
essa ci dà degli scenari che Papa Benedetto ha richiamato nella sua omelia che sono
di straordinaria potenza. Sono tutti e due gli elementi che ritornano nel Magistero
di questo Papa e che mi sembrano di grande importanza per il nostro presente: l’aspetto
drammatico del conflitto, cioè siamo in una lettura della storia dove dunque ci sono
forze in gioco che spesso sono forze negative – possiamo chiamarle ‘relativismo’,
‘nichilismo’, ma nello stesso tempo va richiamato il senso profondo della fede cristiana
che l’Apocalisse veicola, e cioè che Dio è e resta il vincitore, che la Storia è una
storia che si apre ad un orizzonte di senso e di speranza e di cui noi siamo i testimoni.
Per cui, anche di fronte a sfide come queste che si stanno profilando, il cristiano
non perde mai la fiducia e la speranza; sa che la riserva escatologica di cui è portatore,
cioè questa carica di speranza più grande, e la carità che da essa nasce, non hanno
bisogno di riconoscimenti umani per essere vissute.