All’indomani del Pakistan, anche l’India celebra il 60.mo anniversario dell’indipendenza
dal Regno Unito, avvenuta nella notte tra il 14 e il 15 agosto 1947. Per l’occasione,
la Chiesa indiana ha indetto una Giornata di preghiera in tutte le diocesi del Paese.
Sulle contraddizioni del subcontinente indiano, Roberta Moretti ha intervistato
padre Carlo Torriani, missionario del Pontificio Istituto Missioni Estere (PIME),
che da 38 anni opera in un lebbrosario a Taloja, nei pressi di Bombay:
R. –
Politicamente l’India si trova in vantaggio rispetto al Pakistan, nel senso che proprio
in questi giorni hanno fatto un trattato atomico con l’America e ormai si sentono
ammessi nel club delle super potenze atomiche. Il boom economico è reale e, infatti,
le statistiche lo dicono e l’industrializzazione aumenta; nelle città il numero di
automobili e di edifici è in continuo aumento, però si accentua sempre di più la differenza
tra città e villaggio. Noi qui a Taloja, per esempio, siamo 500 metri fuori da Bombay;
6 ore al giorno non abbiamo l’elettricità, non abbiamo ancora l’acqua potabile, dobbiamo
tirarla su dai pozzi.
D. – Come vive la comunità
cristiana in India. Esiste un impegno politico per il rispetto delle minoranze?
R.
– La situazione non è molto tollerante. La religione indù, che era una delle più tolleranti
perché conglobava tutte le divinità, le devozioni, le filosofie attualmente con il
movimento del Rashtriya Suang Sevak (RSS), sta dimostrando un’intolleranza promovendo
leggi contro le conversioni in tutti gli Stati dove riescono a farlo.
D.
– Come opera la Chiesa in India e quali sono le difficoltà principali?
R.
– C’è una certa discriminazione, anche perché la comunità cristiana si è impegnata
poco nella politica; si è impegnata molto nell’assistenza, nell’istruzione, negli
ospedali, ma non c’ è stata una presenza visibile nei vari partiti politici. Per esempio
nel Kerala, dove c’è una presenza del 20 per cento di cristiani hanno molte scuole
e, recentemente, il governo ha tentato di controllare queste scuole, di imporre delle
regole; quindi, c’è stata un’alzata di scudi da parte della comunità cristiana nel
Kerala in difesa di questa libertà di insegnamento.
D.
– Ci racconta la sua esperienza in questo lebbrosario di Taloja?
R.
– Vivendo con i lebbrosi, mi sono accorto del fatto che sono sempre stati rifiutati
perché parlano della morte con le loro deformità; questo vuol dire che sono dei profeti
perché la morte è la cosa più sicura della nostra vita e ce lo dicono a nome di Dio,
che siamo limitati. Il nostro ‘Ashram’ è un posto di spiritualità; lo abbiamo chiamato
appunto 'Ashram’ - “porta del cielo” - che è un altro nome per la morte. Anzi, qui
in India “porta del cielo” è il posto dove bruciano i morti: però è un messaggio di
speranza, non è la fine.