In corso a Stoccolma il Vertice mondiale sull'acqua
Un appello a Stati Uniti, Cina e India perchè si impegnino maggiormente ad affrontare
l'emergenza climatica. Con questa richiesta il primo ministro svedese, Fredrik Reinfeldt,
ha aperto lunedì scorso a Stoccolma la Settimana mondiale dell’acqua. L’iniziativa
promossa dall’Istituto Internazionale per l’Acqua vedrà confrontarsi, fino al 18 agosto,
responsabili delle Nazioni Unite, rappresentanti di governi, esperti e delegati di
ONG, provenienti da oltre 130 Paesi. Attraverso tavole rotonde e sessioni di studio
si sta facendo il punto sui cambiamenti climatici, la gestione delle risorse idriche
e la carenza d’acqua che riguarda, secondo le Nazioni Unite, quasi il 30% della popolazione
mondiale. Massimiliano Menichetti ha raccolto il commento di Rosario Lembo,
Segretario italiano per il contratto mondiale sull’acqua.
R. –
L’accesso a questo bene deve essere equiparato ad un diritto fondamentale inalienabile.
Nessuno si può appropriare dell’acqua e dire “è un bene personale e lo gestisco come
voglio". Purtroppo si deve constatare che anche nell’ambito delle regole e modalità
mondiali che ci siamo dati non esiste, per esempio, un’agenzia mondiale per l’acqua
che sia in grado praticamente di poter emanare delle regole, di poter stabilire delle
penalità per chi inquina un fiume o che a monte sbarra un fiume o costruisce una grande
opera che impedisce, appunto, a valle all’acqua di scorrere. Praticamente questo riconoscimento
del diritto umano è anche una dichiarazione fondamentale dei diritti umani. Questi
sono due importanti obiettivi dei quali la comunità internazionale dovrebbe dotarsi.
D.
– Uno dei cartelli presenti, diciamo, delle emergenze lanciate dalla Settimana mondiale
dell’acqua è che i governi devono investire di più in misure per contrastare la scarsità
di acqua. Ma quando si parla di investimenti maggiori e di misure, in concreto cosa
è necessario.
R. – Questo è un po’ uno dei miti come
quello della tecnologia. Si dice sempre che ci vogliono più investimenti, bisogna
costruire grandi dighe, grandi riserve d’acqua, bisogna investire nella desalinizazione,
prelevare acqua dai fiumi, prelevare acqua, appunto dai mari. Cioè si pensa che la
tecnologia e gli investimenti di capitali possano praticamente risolvere questi problemi
di crisi strutturali.
D. – Dunque ciò che serve
è ripensare l’approccio all’acqua proprio per non trasformarla in un mero bene di
consumo?
R. – Bisognerebbe cominciare anche dai
nostri piccoli comportamenti in casa, ad avere un approccio diverso con l’acqua. Bisogna
averlo a livello individuale, a livello di singoli Paesi con grandi campagne di sensibilizzazione,
di educazione ambientale, bisogna averlo a livello di responsabilità dei governi che
dovrebbero contenere la domanda acqua anziché puntare, attraverso grandi investimenti
finanziari, ad offrire acqua sempre di più ma, soprattutto a lasciare che si sprechi
quest’acqua.
D. – Dunque uno dei rischi è quello
di cercare fondi, avviare grandi opere e poi alla fine, magari, tagliar fuori i più
poveri dall’accesso all’acqua...
R. – Spesso si porta
l’acqua nelle case, realizzando gli acquedotti, mettendo i rubinetti, ma poi il povero
contadino africano o indiano non ha soldi per pagare la bolletta dell’acqua. Cioè
oggi l’acqua non si ha più come un diritto naturale, è qualcosa che praticamente si
ha nella misura in cui si può pagare e l’ultimo rapporto dell’UNDP ha messo in evidenza
questo: chi paga l’acqua più cara e chi molto spesso ha meno accesso all’acqua sono
proprio le fasce più povere. Questo deriva dal fatto che l’acqua non è più un diritto
ma è diventata una merce, qualcosa a cui si accede solo in funzione del potere di
acquisto che si ha nel proprio portafoglio.