Continuano i disordini e le violenze a Timor Est, la piccola repubblica asiatica indipendente
dal 2002, dopo la nomina a premier di Xanana Gusmao, il principale leader del processo
di emancipazione dall’Indonesia. A contestare il nuovo esecutivo è il maggiore partito
del passato governo, il Fretilin, che ha dato il via a scontri e incidenti post-elettorali.
Nella capitale Dili è tornata la calma, grazie alla forte presenza delle forze di
sicurezza internazionali a guida ONU, ma in altre provincie sarebbero migliaia le
persone costrette alla fuga. Sui motivi di questi disordini Stefano Leszczynski ha
intervistato Riccardo Noury, portavoce di "Amnesty International" in Italia: 00:01:42:94
R.
– Le ragioni sono molteplici. Intanto, c’è una baruffa di tipo elettorale, ovvero
post-elettorale. Fretlin, un movimento che ha condotto alla liberazione di Timor Est,
ha vinto le elezioni, ma Gusmao, che è arrivato secondo con il suo partito, ha formato
una coalizione con altri partiti abbastanza eterogenea e questa avrebbe i numeri per
fare il governo. Da qui la sua nomina. Fretlin rischia di scatenare uno scontro di
casta. Ha denunciato la nomina di Gusmao come non conforme alla costituzione e quindi
le notizie di queste ore sono proprie di una crisi di natura istituzionale.
D.
– Colpisce che su una popolazione di un milione di abitanti il tasso di disoccupazione
arrivi quasi al 50 per cento. Quindi, sicuramente, dietro ai motivi politici ci sono
dei motivi sociali molto pesanti...
R. – Il fatto che la disoccupazione sia,
così alta spinge molti giovani a finire nelle bande criminali, rende facile identificare
"eroi di piazza" come il leader ribelle dei militari, che ha messo insieme una banda
di 600 militari circa, che si sono rivoltati contro l’esercito. E poi aggiungo a questo
che come in tanti altri casi un presente che non fa i conti con il passato, con almeno
102 mila timoresi morti nel periodo dell’occupazione indonesiana dal ’74 al ’99, è’
un Paese che non fa i conti con questa storia, che non fa giustizia, che non va in
cerca della verità. E’ un Paese che viene lasciato a gestire da solo - e questo è
il rimprovero che Amnesty fa alla comunità internazionale - un periodo post conflitto
che in tutti i casi è stato riscontrato come drammatico.