In Vietnam, sono almeno 65 i morti e 270mila le persone prive di acqua e cibo a causa
delle piogge torrenziali degli ultimi giorni. Vittime anche in Pakistan: a Karachi,
almeno 11 persone sono morte colpite dalle piogge torrenziali. Continua, intanto,
nell’Asia meridionale, l’emergenza alluvioni, dopo circa 3 mesi di piogge monsoniche.
India, Bangladesh e Nepal le regioni più colpite, oltre 2mila le vittime e almeno
30 milioni gli sfollati. Ma quali sono, attualmente, le emergenze più importanti?
Isabella Piro lo ha chiesto ad Alice Grecchi, responsabile comunicazione
dell’ONG Action Aid, che opera anche in Asia:
R. –
Chiaramente le aree più colpite riguardano i villaggi e i distretti di persone che
vivono a stretto contatto con i corsi d’acqua. Per fare un esempio, in Bangladesh
sono stati colpiti 64 distretti e in 41 di questi le persone hanno dovuto abbandonare
le case. L’emergenza più grave, al momento, è quella dell’acqua potabile. Sicuramente
la grossa conseguenza che hanno le alluvioni sulla popolazione è un incremento di
malattie legate alla contaminazione dell’acqua, quindi, le malattie ad essa connessa,
come il colera, la dissenteria, l’epatite...
D.
– Si prevedono altre piogge, nei prossimi giorni?
R.
– La stagione dei monsoni non è finita, anzi. Quindi, c’è da aspettarsi nuove piogge
nei prossimi giorni e nelle prossime settimane. Queste piogge riguarderanno non solo
il Bangladesh, ma tutta l’area colpita: dall’India, al Pakistan, al Nepal. In Nepal,
per esempio, la problematica attuale è anche rappresentata dalle frane, che sono state
provocate dalle piogge torrenziali.
D. – Le fasce
più deboli della popolazione, ad esempio i bambini, come stanno vivendo l’emergenza?
R.
– I bambini, insieme alle donne e agli anziani, sono le persone più vulnerabili. Da
sempre, in qualsiasi emergenza, sono più soggetti a malattie. Le strutture scolastiche
chiudono. Dall’emergenza ne consegue tutta una serie di effetti e situazioni che,
comunque, tendono a minare lo sviluppo dei minori.
D.
– Come si può intervenire per prevenire simili catastrofi?
R.
– Il lavoro di prevenzione è fondamentale, ma deve essere fatto nell’ottica di mettere
al centro di tutto il processo le persone e i poveri che sono colpiti da queste emergenze.
Quindi, non una prevenzione asettica e fatta senza il coinvolgimento delle comunità.
Consideriamo anche che le popolazioni del posto hanno un grosso sapere acquisito,
che va dalle tradizioni che si hanno da decenni. Quindi, è anche su quelle che bisogna
lavorare e sfruttare le capacità che la popolazione ha e fare formazione sui giovani,
perché essi imparino a sapere prevenire dove possibile. Saper gestire le fasi di emergenza
permette anche di ridurre gli effetti. La modalità, per esempio, di lavoro di Action
Aid prevede personale locale. Quindi, al momento attuale, noi abbiamo i colleghi rappresentanti
di vari Paesi, fra cui soprattutto quelli delle aree colpite che stanno lavorando
a stretto contatto con le comunità, in termini di fornitura di materie prime: cibo,
tende, un alloggio. Il rischio di un aiuto sterile produce poi popolazioni che non
sono più autonome.
D. – La comunità internazionale
come può portare il proprio aiuto alle zone disastrate?
R.
– Quello che serve è una risposta immediata ed unanime di fronte a questa emergenza.
Non ci sono emergenze di ‘serie a’ e di ‘serie b’, ma ci sono emergenze che vanno
affrontate. Proprio perché quello che va poi ad essere tutelato è appunto il diritto
di queste persone ad un recupero e ad un ritorno alla situazione pre-emergenza.