Giornata internazionale dei popoli indigeni : in 400 milioni chiedono di non essere
cancellati dalla storia
“E’ il momento di ricordare quelli che soffrono, in modo tale da poter intervenire
con urgenza”. Così il segretario generale dell’Onu Ban Ki-moon nel messaggio per l’odierna
Giornata internazionale dei popoli indigeni, in tutto 400 milioni in 75 Stati del
mondo. Sono persone che vivono in un Paese senza esservi immigrati, e che si battono
per conservare e trasmettere tradizioni e identità etnica. E il tema di quest’anno
è proprio quello di "onorare la gioventù indigena, le lingue e i siti sacri dei popoli
autoctoni". Quale può esserne il valore? Gabriella Ceraso lo ha chiesto a Mauro
di Vieste dell’Associazione per i popoli minacciati:
R. -
Potrebbe essere un buon principio perché per far questo bisogna dare la possibilità
a queste popolazioni di sopravvivere. Questo lo si può fare in un solo modo: lasciando
loro il territorio, lasciando decidere il loro modello di sviluppo. Poi, dobbiamo
verificare che nella realtà le multinazionali del petrolio, dell’energia, non abbiano
il sopravvento.
D. - Nel messaggio Ban Ki-moon ricorda
anche che in questi decenni è cresciuta la sensibilità e l’impegno per i diritti umani
di queste popolazioni, è così?
R. - Se dobbiamo guardare
i risultati la risposta dovrebbe essere un secco no. In linea di principio, però,
le aperture ci sono state e speriamo che si riesca ad arrivare almeno all’approvazione,
a livello internazionale, della convenzione 169 dell’ILO, che garantirebbe diritto
alla terra, all’istruzione, all’utilizzo delle proprie risorse, alla salute. Oggi
esiste solo una sensibilità generica che dovrebbe essere misurata proprio nei fatti,
e ne vediamo ben pochi.
D. - Altro appello contenuto
nel messaggio è rafforzare il dono degli indigeni sui temi ambientali e i cambiamenti
climatici: quanto hanno da insegnarci in questo ambito?
R.
- Noi avremmo tutto da imparare rispetto alla conservazione dell’ambiente. Nella foresta
amazzonica non ci sarebbe neanche bisogno di parlare di interventi se solo si lasciasse
la gestione del territorio a loro, come nell’artico, in zone assolutamente inospitali
per il nostro modo di vedere la civiltà, in cui l’ambiente è stato sicuramente “piegato”
alle loro esigenze non con la forza, ma con la conoscenza e con il rispetto.
D.
- Questo significa escludere tecnologia e sviluppo, o c’è un modo per integrarli al
rispetto ambientale?
R. - Se noi intendiamo per sviluppo
lo sfruttamento petrolifero o quello dell’uranio o quello dei diamanti, assolutamente
no in zone dove gli equilibri ecologici sono delicatissimi. Se stiamo parlando invece
di altre tecnologie e altre energie, bisogna ridiscuterne, ma oggi lo sfruttamento
petrolifero ha fatto danni enormi e ci sono tutte le altre forme di sfruttamento che
provocano danni ambientali irreparabili.