Emergenza incendi in Italia: oggi la quinta vittima, un uomo di 80 anni. Mons. Bregantini
pensa alla scomunica per i piromani
La drammatica cronaca dei roghi estivi registra oggi un’altra vittima: un pensionato
di 80 anni ha perso la vita nel foggiano nel tentativo di spegnere un incendio sviluppatosi
in un terreno di sua proprietà. Fiamme anche in Sicilia, Lazio, Campania e Abruzzo.
E il ministro dell’Ambiente Alfonso Pecoraro Scanio parla di vero e proprio "assalto
criminale". Il servizio di Giampiero Guadagni
Per una riflessione
sul fenomeno degli incendi, che stamani continuano a divampare in particolare in Calabria,
ascoltiamo, al microfono di Luca Collodi, il vescovo di Locri-Gerace, mons. Giancarlo
Maria Bregantini:
R. – C'è anzitutto
una amarezza crescente e poi il senso di inadeguatezza che si respira di fronte a
questi fatti. Ma c’è poi l’amarezza e la condivisione del dolore di queste famiglie
coinvolte nel lutto di queste fiamme. Mi permetterei però di dire che accanto a questo
ci debba essere un duplice atteggiamento. Prima di tutto quello di condanna gravissima
da parte della Chiesa e della comunità cristiana nei confronti di chi osa fare questo
danno gravissimo alla natura, perché è un delitto infame quello di accendere e bruciare
un bosco. Io dico che va perseguito con la stessa intensità con cui la Chiesa attacca
coloro che violano la vita nel grembo della madre. Io oserei parlare di scomunica:
è ovviamente un discorso che va approfondito, ma certamente è un atto gravissimo contro
la vita della natura, dei boschi e di tutto quello che Dio ci ha donato. Ma ritengo
che anche la realtà del sud debba anche attrezzarsi meglio, perché accanto alla condanna
ci deve essere anche l’organizzazione di uno strumento intelligente e soprattutto
capillare di difesa. Vorremmo lanciare questa proposta: creare in ogni comunità dei
gruppi di giovani formati, attrezzati, accompagnati, preparati tecnicamente ed anche
finanziati, che rappresentino la possibilità di avere subito una risposta in loco,
e non a distanza magari di 50 chilometri o con l’ausilio di elicotteri, così che al
primo accenno di fumo possa muoversi la stessa comunità. Questo è il punto di riferimento
che oserei dire: ancora una volta la realtà tragica degli incidenti ci chiede una
comunità capace di partecipare, di sentire il territorio come proprio e la terra come
sposa e quindi non può essere né violata né abbandonata, come dice proprio la Bibbia.
D. – Nonostante il grande impegno dello Stato italiano, attraverso la Protezione
Civile, i Vigili del Fuoco, la Forestale, i volontari e con tutti quanti coloro che
operano nel settore degli incidenti, c’è la sensazione che lo Stato stia perdendo
questa battaglia… R. – Io non credo che sia questa la sensazione. La sensazione
è che dobbiamo scuotere le coscienze delle persone. Più ancora che l’intervento dello
Stato, che è necessario ma è consequenziale, dobbiamo primariamente dalla lezione
triste degli incidenti ricavare una grande domanda: che amore abbiamo noi per la terra
dove Dio ci ha messo? E a chi vedendo un incendio dico di non limitarsi solo a fare
il 115 – che è pure molto importante – ma anche di fermarsi per vedere se, essendo
appena agli inizi, può fare qualcosa per spegnerlo. Questo è il senso. Sarebbe grandissimo
se poi sul luogo la comunità si sveglia, suona la campana a martello, fa accorrere
la gente ed interviene. Questo è il discorso. Noi dobbiamo arrivare ad una coscientizzazione
e non soltanto ad una militarizzazione del territorio.