2007-08-07 15:17:55

Crisi agricola in Zimbabwe: ogni giorno, mille persone attraversano il confine con la Zambia per procurarsi beni di prima necessità


Sarebbe salito di recente da una media di 60 a circa mille il numero dei cittadini dello Zimbabwe che attraversa ogni giorno il varco doganale di Livingstone, cittadina turistica vicina alle turistiche cascate Victoria, per recarsi nella confinante Zambia a comprare beni di prima necessità come mais, farina, latte e pane. Anche Sudafrica e Botswana segnalano situazioni simili. Come riferisce l’agenzia MISNA, la crisi che da tempo attanaglia lo Zimbabwe potrebbe essere sul punto di causare anche una carestia; già da tempo, enti dell’ONU hanno avvisato che circa un quarto della popolazione (quattro milioni di persone) potrebbe essere presto a rischio alimentare. Harare ha annunciato che il prossimo raccolto di grano sarà il peggiore degli ultimi anni, ben al di sotto delle 78 mila tonnellate dello scorso anno, anche a causa dell’insufficienza di energia elettrica disponibile per i lavori agricoli. I coltivatori delle regioni settentrionali del Sudafrica, al confine con lo Zimbabwe, sarebbero giunti al punto di vigilare regolarmente sui loro raccolti per difenderli dal saccheggio di migranti clandestini. Dopo aver atteso per 20 anni l’aiuto economico concordato nel 1979 con Londra e mai erogato, nel 2000, il governo del presidente Mugabe (che dal 1964 al 1979 aveva guidato la cosiddetta “bush war”) ha attuato una controversa riforma agraria. Oltre il 70% delle terre coltivabili era detenuto dallo 0.6% della popolazione, i coloni bianchi, presenti dal tempo in cui il Paese era ancora chiamato Rhodesia del Sud ed era amministrato dall’inglese Ian Smith, noto per le sue politiche razziste e separatiste. Affidate a ex-combattenti, le terre ridistribuite non sono state più coltivate a dovere, sia per scarsa competenza tecnica, sia per l’impossibilità di procurarsi fertilizzanti e attrezzature agricole tacitamente embargate dal resto del mondo. Già nel 2003, la produzione agricola di quello che era chiamato “il granaio d’Africa” si era ridotta di due terzi rispetto agli anni ‘90. (R.M.)







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