Zimbabwe, Paese alla fame: le donne si ribellano, ma il regime di Mugabe reagisce
con durezza
Emergenza Zimbabwe: il Paese africano è ormai al collasso. Su 13 milioni di abitanti,
oltre 3 milioni rischiano la morte per fame. I disoccupati sono il 70%. L'aspettativa
di vita è una delle più basse al mondo: non supera i 37 anni. I vescovi del Paese
puntano il dito contro il regime di Mugabe, al potere da 27 anni: ha creato una piccolissima
minoranza di straricchi e una grande maggioranza di persone che lottano per la sopravvivenza.
In un messaggio, i presuli ammoniscono: “Dio ascolta il grido degli oppressi”. In
questo contesto Amnesty International ha denunciato le crescenti violazioni dei diritti
delle donne, che si stanno battendo per dare una vita migliore alle proprie famiglie.
Cecilia Seppia ne ha parlato con Clara Spagnoletta, responsabile di
Amnesty International per l'Africa meridionale:
R.
– C’è da dire una cosa fondamentale, lo Zimbabwe sta attraversando da diversi anni
una profonda crisi economica, dovuta principalmente alla riforma agraria del 2000.
La redistribuzione delle terre all’interno del Paese non è avvenuta in maniera equa,
ma sono stati favoriti principalmente i sostenitori del partito del presidente Mugabe.
Questo ha fatto sì che ci fosse una profonda discriminazione all’interno della redistribuzione
della terra, che ha portato ad una grave crisi economica e, a sua volta, poi, con
il passare del tempo, ad una negazione del diritto al cibo ai sostenitori del partito
di opposizione a Mugabe. Ha portato, quindi, alla protesta delle donne. In questo
ultimo periodo si è avvertita una escalation di violazione dei diritti umani nei confronti
e delle donne, che si sono schierate in maniera attiva contro questa situazione, e
dei sindacati.
D. – Il ruolo delle donne sembra preminente.
Ma cos’è che chiedono in concreto?
R. – Chiedono
il diritto alla propria sopravvivenza, il diritto al cibo, il diritto a sfamare i
propri figli. Perché sono stati registrati dei casi in cui il costo del mais è aumentato
solo per gli appartenenti al Movimento per il Cambiamento Democratico, l’MCD, che
è il partito di opposizione. Successivamente sono state trovate delle donne che cercavano
di vendere i propri manufatti per poter sostentarsi a rischio di un arresto e che
la loro merce venisse sequestrata. Chiedono proprio questo: il diritto di accesso
al cibo, la possibilità di lavorare.
D. – La maggior
parte delle donne che sono state incontrate, quindi intervistate, dai ricercatori
di Amnesty hanno dichiarato di essere sottoposte a dure repressioni. Vogliamo proprio
dare un nome a queste repressioni? Quali sono?
R.
– Sono stati registrati casi di arresto nei confronti di queste donne, che una volta
portate in carcere, nella maggior parte dei casi, hanno subito delle gravi violenze
fisiche e di tipo sessuale. Tra l’altro le donne sono anche state incarcerate in stato
di gravidanza, in compagnia dei loro figli minorenni. Quindi, contravvenendo agli
standard internazionali.
D. – Eppure, nonostante
questo, le donne non si fermano e sembra ci sia una protesta che dalle campagne arriva
ai centri urbani e viceversa...
R. – Il problema
è dilagante in tutta la nazione. La difficoltà di accesso al cibo, di accesso ai farmaci,
si estende su tutto il Paese. Proprio per questo Amnesty chiede che i capi di Stato
della comunità per lo sviluppo dell’Africa meridionale intervengano nei confronti
di Mugabe per denunciare tutto ciò e cercare di fermare tutte le problematiche legate
alla redistribuzione del cibo, dei farmaci e alle discriminazioni che avvengono nei
confronti di questa situazione.