2007-08-05 09:42:15

Dall'Africa all'Europa: il dramma silenzioso dell'immigrazione clandestina alla ricerca della dignità di vivere


Sono centinaia le vittime dell’immigrazione clandestina dall’Africa all'Europa. Il tratto di mare tra la Libia, Malta e la Sicilia è diventato una fossa comune. Gabriele Del Grande ha percorso per 3 mesi queste vie di fuga verso la speranza di una vita migliore, raccogliendo le testimonianze di chi ce l’ha fatta. Da questa esperienza è nato il libro inchiesta: “Mamadou va a morire” pubblicato da Infinito Edizioni. Antonella Villani gli ha chiesto cosa deve affrontare chi emigra clandestinamente:RealAudioMP3
 
R. - Chi parte oggi dall’Africa Occidentale per raggiungere la Libia, da cui ci si imbarca per la Sicilia, deve prima attraversare il deserto del Sahara; si fa a bordo di un fuori strada, un camion, e nel deserto del Sahara sono già morte 1079 persone ma è un dato sicuramente inferiore al dato reale. C’è anche la situazione gravissima nei Paesi della riva sud del Mediterraneo, penso soprattutto alla Libia dove avvengono continue violazioni dei diritti di queste persone, e soltanto nel mese di maggio, 2137 persone sono state arrestate e saranno detenute per mesi nelle carceri libiche per poi essere rimpatriate verso i Paesi di origine. E se non si muore nel deserto, se non si viene arrestati, portati in carcere, torturati per mesi, non resta che buttarsi in mezzo al mare e sperare che vada bene.

 
D. – In quanti ce la fanno?

 
R. – In Italia sono arrivate 20 mila persone l’anno scorso, un dato leggermente in ribasso rispetto all’anno precedente. Quest’anno ne stanno arrivando ancora meno, addirittura su Lampedusa gli sbarchi sono dimezzati. I primi cinque mesi dell’anno sicuramente molti di più rimangono bloccati nei Paesi di transito, sono molte le persone che una volta arrivate in Libia piuttosto che in Marocco, non hanno poi i mezzi per continuare il viaggio. Ci sono quelli che invece vengono deportati nella riva sud del Mediterraneo, c’è questa pratica per cui si viene riaccompagnati alla frontiera anche là dove la frontiera è una frontiera desertica per cui ci sono centinaia, migliaia di persone che si trovano bloccate nelle oasi desertiche tra l’Algeria ed il Mali, o tra la Libia e il Sudan. Poi ci sono quelli che non ce la fanno, che annegano in mezzo al mare. Nel Canale di Sicilia sta avvenendo una vera e propria strage: nel mese di giugno almeno 139 persone hanno perso la vita e nessuno sa quello che succede al largo, dove non ci sono testimoni. Nel Canale di Sicilia, dal 1988 ad oggi, abbiamo documentato 2148 vittime.

 
D. – Ma il fatto che questi sbarchi stanno diminuendo è indice che il fenomeno è in diminuzione o che ci sono altri intoppi?

 
R. – Il fenomeno non è in diminuzione perché comunque rimane alta la pressione emigratoria e rimane quasi nulla la possibilità di emigrare legalmente. Oggi c’è un’intera generazione in Africa che non ha nessun accesso ai visti. Se diminuiscono gli ingressi da una parte, aumentano poi dall’altra. Questo ce lo insegna il caso ad esempio della Spagna, quando nel 2005 Zapatero decise di dare un taglio a Ceuta e Melilla: vennero appunto arrestate 1500 persone, 17 persone vennero ammazzate, sparando sui migranti che scavalcavano queste reti, vennero abbandonati e deportati prima in mezzo al deserto e poi rimpatriati nei rispettivi Paesi di origine e l’anno dopo ci fu un boom di arrivi nelle isole Canarie dove arrivarono sei volte le persone che erano arrivate nell’anno precedente.

 
D. – Una storia che hai raccolto in questi tuoi tre mesi di viaggio lungo le rotte dei migranti clandestini che ti ha particolarmente colpito...

R. – La storia di una donna arrestata con un bimbo di tre mesi, caricata su un container con altre 50 persone e trasportate per 1500 chilometri, due giorni di viaggio senza nemmeno avere la possibilità di prendersi una boccata d’aria. Abbandonata in mezzo al deserto con il bambino piccolo, si è salvata soltanto grazie ad alcuni dei deportati che avevano dei soldi con loro e sono riusciti a corrompere l’autista libico a farsi riportare indietro altrimenti avrebbero fatto la fine di altre migliaia di persone che muoiono disidratate in mezzo al deserto.

D. – Che cosa ha significato per te questa esperienza?

R. – Difficile oggi immaginare che a poche ore di navigazione dalle nostre coste, sia succedendo questo finimondo, c’è tutta una generazione che sta subendo, a causa della difesa dei nostri confini, una serie di abusi gravissimi.

D. – Cosa si potrebbe fare a questo punto per togliere dalla clandestinità queste persone e dare loro un futuro?

R. – In primo piano, probabilmente, è la solidarietà per lo sviluppo e la pacificazione dei Paesi da cui questa gente sta partendo. Nessuno abbandona il proprio Paese se nel proprio Paese sta bene. E poi creare mobilità, sia per chi parte come richiedente asilo politico, sia per chi parte per migliorare le proprie condizioni economiche e spesso veramente non c’è scelta: bisogna buttarsi su una carretta del mare.







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