Dall'Africa all'Europa: il dramma silenzioso dell'immigrazione clandestina alla ricerca
della dignità di vivere
Sono centinaia le vittime dell’immigrazione clandestina dall’Africa all'Europa. Il
tratto di mare tra la Libia, Malta e la Sicilia è diventato una fossa comune. Gabriele
Del Grande ha percorso per 3 mesi queste vie di fuga verso la speranza di una
vita migliore, raccogliendo le testimonianze di chi ce l’ha fatta. Da questa esperienza
è nato il libro inchiesta: “Mamadou va a morire” pubblicato da Infinito Edizioni.
Antonella Villani gli ha chiesto cosa deve affrontare chi emigra clandestinamente: R.
- Chi parte oggi dall’Africa Occidentale per raggiungere la Libia, da cui ci si imbarca
per la Sicilia, deve prima attraversare il deserto del Sahara; si fa a bordo di un
fuori strada, un camion, e nel deserto del Sahara sono già morte 1079 persone ma è
un dato sicuramente inferiore al dato reale. C’è anche la situazione gravissima nei
Paesi della riva sud del Mediterraneo, penso soprattutto alla Libia dove avvengono
continue violazioni dei diritti di queste persone, e soltanto nel mese di maggio,
2137 persone sono state arrestate e saranno detenute per mesi nelle carceri libiche
per poi essere rimpatriate verso i Paesi di origine. E se non si muore nel deserto,
se non si viene arrestati, portati in carcere, torturati per mesi, non resta che buttarsi
in mezzo al mare e sperare che vada bene.
D. – In
quanti ce la fanno?
R. – In Italia sono arrivate
20 mila persone l’anno scorso, un dato leggermente in ribasso rispetto all’anno precedente.
Quest’anno ne stanno arrivando ancora meno, addirittura su Lampedusa gli sbarchi sono
dimezzati. I primi cinque mesi dell’anno sicuramente molti di più rimangono bloccati
nei Paesi di transito, sono molte le persone che una volta arrivate in Libia piuttosto
che in Marocco, non hanno poi i mezzi per continuare il viaggio. Ci sono quelli che
invece vengono deportati nella riva sud del Mediterraneo, c’è questa pratica per cui
si viene riaccompagnati alla frontiera anche là dove la frontiera è una frontiera
desertica per cui ci sono centinaia, migliaia di persone che si trovano bloccate nelle
oasi desertiche tra l’Algeria ed il Mali, o tra la Libia e il Sudan. Poi ci sono quelli
che non ce la fanno, che annegano in mezzo al mare. Nel Canale di Sicilia sta avvenendo
una vera e propria strage: nel mese di giugno almeno 139 persone hanno perso la vita
e nessuno sa quello che succede al largo, dove non ci sono testimoni. Nel Canale di
Sicilia, dal 1988 ad oggi, abbiamo documentato 2148 vittime.
D.
– Ma il fatto che questi sbarchi stanno diminuendo è indice che il fenomeno è in diminuzione
o che ci sono altri intoppi?
R. – Il fenomeno non
è in diminuzione perché comunque rimane alta la pressione emigratoria e rimane quasi
nulla la possibilità di emigrare legalmente. Oggi c’è un’intera generazione in Africa
che non ha nessun accesso ai visti. Se diminuiscono gli ingressi da una parte, aumentano
poi dall’altra. Questo ce lo insegna il caso ad esempio della Spagna, quando nel
2005 Zapatero decise di dare un taglio a Ceuta e Melilla: vennero appunto arrestate
1500 persone, 17 persone vennero ammazzate, sparando sui migranti che scavalcavano
queste reti, vennero abbandonati e deportati prima in mezzo al deserto e poi rimpatriati
nei rispettivi Paesi di origine e l’anno dopo ci fu un boom di arrivi nelle isole
Canarie dove arrivarono sei volte le persone che erano arrivate nell’anno precedente.
D. – Una storia che hai raccolto in questi tuoi tre
mesi di viaggio lungo le rotte dei migranti clandestini che ti ha particolarmente
colpito...
R. – La storia di una donna arrestata con un bimbo di tre mesi,
caricata su un container con altre 50 persone e trasportate per 1500 chilometri, due
giorni di viaggio senza nemmeno avere la possibilità di prendersi una boccata d’aria.
Abbandonata in mezzo al deserto con il bambino piccolo, si è salvata soltanto grazie
ad alcuni dei deportati che avevano dei soldi con loro e sono riusciti a corrompere
l’autista libico a farsi riportare indietro altrimenti avrebbero fatto la fine di
altre migliaia di persone che muoiono disidratate in mezzo al deserto.
D. –
Che cosa ha significato per te questa esperienza?
R. – Difficile oggi immaginare
che a poche ore di navigazione dalle nostre coste, sia succedendo questo finimondo,
c’è tutta una generazione che sta subendo, a causa della difesa dei nostri confini,
una serie di abusi gravissimi.
D. – Cosa si potrebbe fare a questo punto per
togliere dalla clandestinità queste persone e dare loro un futuro?
R. – In
primo piano, probabilmente, è la solidarietà per lo sviluppo e la pacificazione dei
Paesi da cui questa gente sta partendo. Nessuno abbandona il proprio Paese se nel
proprio Paese sta bene. E poi creare mobilità, sia per chi parte come richiedente
asilo politico, sia per chi parte per migliorare le proprie condizioni economiche
e spesso veramente non c’è scelta: bisogna buttarsi su una carretta del mare.