Gravi scontri sul confine tra Pakistan e Afghanistan
Oltre 20 i morti oggi in una serie di scontri nella regione Nord-Ovest del Pakistan,
nei pressi del confine con l’Afghanistan. Il più grave degli attentati è avvenuto
nella regione del Waziristan, dove gli assalitori hanno sparato una cinquantina di
razzi contro l’esercito. Prosegue quindi la violenza dopo la rottura degli accordi
tra Islamabad e capi tribù e soprattutto dopo l’assalto alla moschea rossa da parte
delle forze dell’ordine. Servizio di Francesca Sabatinelli
La rottura
della tregua fra il governo pachistano e le milizie pashtun del Waziristan del nord,
al confine con l’Afghanistan, decretata meno di un mese fa dai capi tribali filo talebani,
segna la scia di sangue in Pakistan. Dall’inizio di luglio 13 gli attentati, 230 i
morti. Una spirale di violenza inarrestabile, una chiamata alla guerra santa delle
tribù contro il governo, collegata all’assalto dei militari alla Moschea Rossa di
Islamabad il 9 e 10 luglio scorsi. Un blitz contro gli integralisti, i morti furono
un centinaio, quasi tutti miliziani tra loro anche il leader, Abdul Rashid Ghazi.
Da allora la regione del nord-ovest del Waziristan, considerata un fortino per Al
Qaida e per i militanti filo talebani, è di nuovo dilaniata e le truppe governative,
militari e poliziotti, sono costantemente sotto attacco. Quello più sanguinoso oggi
è stato condotto dai militanti integralisti contro cinque posti di blocco dell’esercito:
14 i morti, tra soldati e miliziani. E poi attentati ancora nella vicina regione di
Kurram, un’autobomba contro una stazione di taxi a ridosso del bazar della città.
L’accordo di pace del 2006, firmato da Islamabad e dalle tribù, che costò al Pakistan
anche le critiche di Washington, e ora divenuto carta straccia, prevedeva l’impegno
dei capi tribali a cacciare i militanti stranieri di al Qaida, ma soprattutto aveva
messo fine ad un conflitto regionale che si protraeva dal 2004 e che era costato la
vita a migliaia di waziri e a centinaia di soldati.
In Afghanistan, intanto,
continuano le trattative per il rilascio dei 21 ostaggi sudocoreani sequestrati dai
talebani il 19 agosto. I rapitori si dicono pronti a trattare, ma solo in territorio
non controllato dall’esercito, mentre Kabul esclude uno scambio tra ostaggi e detenuti
talebani. In una telefonata all’agenzia France Presse, una delle donne sequestrate
ha chiesto aiuto all’ONU e al Papa. Proprio domenica scorsa, all’Angelus, Benedetto
XVI aveva chiesto il rilascio dei sud coreani: “Rivolgo il mio appello - aveva detto-
affinché gli autori di tali atti criminosi desistano dal male compiuto e restituiscano
incolumi le loro vittime”.
Intanto, sul terreno continuano gli scontri: in
due diversi attentati, oggi hanno perso la vita 4 poliziotti afgani e due civili.
Decine di insorti, inoltre, sono rimasti uccisi in un raid aereo delle forze internazionali
sul distretto di Baghran, nella provincia meridionale di Helmand. Feriti anche 30
civili. Si fa dunque sempre più complicata la strategia seguita dalla Nato per contrastare
i talebani. Al microfono di Stefano Leszczynski, ascoltiamo il commento di Alberto
Negri, inviato del Sole 24 ore:
R. – In
Afghanistan, soprattutto il sud-est del Paese, è uno scenario di guerra. Da una parte,
abbiamo la guerriglia dei talebani, gruppi di banditi, "signori della guerra" e dall’altra,
abbiamo le truppe dell’esercito afghano, peraltro scarse, e, soprattutto, quelle della
NATO. Quanti sono? Circa 8 mila uomini dell’Alleanza Atlantica, che combattono una
guerriglia che non riescono naturalmente a stanare. Quindi, l’Alleanza Atlantica ricorre
all’unico mezzo letale che ha veramente a disposizione, cioè ai bombardamenti aerei,
che, purtroppo, fanno molte vittime anche tra i civili. D. – I talebani
per cosa combattono in Afghanistan?
R. – Qual è l’obiettivo
di una guerriglia che non ha oggettivamente la possibilità forse di conquistare un
governo centrale e di battere la NATO? E’ quella di creare delle zone “liberate”,
cioè delle aree in cui è la guerriglia a comandare. E poi saldare queste aree liberate
in Afghanistan con altre, che stanno dall’altra parte del confine, cioè in Pakistan.
D.
– Il governo pakistano ha perso l’immagine di pilastro per la guerra contro i talebani...
R.
– In realtà, il Pakistan è sempre stato, lo è da molti anni, il ventre molle del sistema
strategico nel subcontinente indiano, che si salda con l’Asia centrale. E Musharraf,
soprattutto dopo la vicenda della Moschea Rossa, si è messo in rotta di collisione
quasi completa con l’establishment religioso, radicale, ma anche con una parte degli
apparati e dei servizi che continuano a sostenere i radicali islamici. Quindi, una
situazione potenzialmente esplosiva, in cui in realtà oggi la partita in gioco è proprio
la sopravvivenza di Musharraf al potere.