2007-08-04 19:35:33

Gravi scontri sul confine tra Pakistan e Afghanistan


Oltre 20 i morti oggi in una serie di scontri nella regione Nord-Ovest del Pakistan, nei pressi del confine con l’Afghanistan. Il più grave degli attentati è avvenuto nella regione del Waziristan, dove gli assalitori hanno sparato una cinquantina di razzi contro l’esercito. Prosegue quindi la violenza dopo la rottura degli accordi tra Islamabad e capi tribù e soprattutto dopo l’assalto alla moschea rossa da parte delle forze dell’ordine. Servizio di Francesca Sabatinelli RealAudioMP3

La rottura della tregua fra il governo pachistano e le milizie pashtun del Waziristan del nord, al confine con l’Afghanistan, decretata meno di un mese fa dai capi tribali filo talebani, segna la scia di sangue in Pakistan. Dall’inizio di luglio 13 gli attentati, 230 i morti. Una spirale di violenza inarrestabile, una chiamata alla guerra santa delle tribù contro il governo, collegata all’assalto dei militari alla Moschea Rossa di Islamabad il 9 e 10 luglio scorsi. Un blitz contro gli integralisti, i morti furono un centinaio, quasi tutti miliziani tra loro anche il leader, Abdul Rashid Ghazi. Da allora la regione del nord-ovest del Waziristan, considerata un fortino per Al Qaida e per i militanti filo talebani, è di nuovo dilaniata e le truppe governative, militari e poliziotti, sono costantemente sotto attacco. Quello più sanguinoso oggi è stato condotto dai militanti integralisti contro cinque posti di blocco dell’esercito: 14 i morti, tra soldati e miliziani. E poi attentati ancora nella vicina regione di Kurram, un’autobomba contro una stazione di taxi a ridosso del bazar della città. L’accordo di pace del 2006, firmato da Islamabad e dalle tribù, che costò al Pakistan anche le critiche di Washington, e ora divenuto carta straccia, prevedeva l’impegno dei capi tribali a cacciare i militanti stranieri di al Qaida, ma soprattutto aveva messo fine ad un conflitto regionale che si protraeva dal 2004 e che era costato la vita a migliaia di waziri e a centinaia di soldati.

In Afghanistan, intanto, continuano le trattative per il rilascio dei 21 ostaggi sudocoreani sequestrati dai talebani il 19 agosto. I rapitori si dicono pronti a trattare, ma solo in territorio non controllato dall’esercito, mentre Kabul esclude uno scambio tra ostaggi e detenuti talebani. In una telefonata all’agenzia France Presse, una delle donne sequestrate ha chiesto aiuto all’ONU e al Papa. Proprio domenica scorsa, all’Angelus, Benedetto XVI aveva chiesto il rilascio dei sud coreani: “Rivolgo il mio appello - aveva detto- affinché gli autori di tali atti criminosi desistano dal male compiuto e restituiscano incolumi le loro vittime”.

Intanto, sul terreno continuano gli scontri: in due diversi attentati, oggi hanno perso la vita 4 poliziotti afgani e due civili. Decine di insorti, inoltre, sono rimasti uccisi in un raid aereo delle forze internazionali sul distretto di Baghran, nella provincia meridionale di Helmand. Feriti anche 30 civili. Si fa dunque sempre più complicata la strategia seguita dalla Nato per contrastare i talebani. Al microfono di Stefano Leszczynski, ascoltiamo il commento di Alberto Negri, inviato del Sole 24 ore: RealAudioMP3

R. – In Afghanistan, soprattutto il sud-est del Paese, è uno scenario di guerra. Da una parte, abbiamo la guerriglia dei talebani, gruppi di banditi, "signori della guerra" e dall’altra, abbiamo le truppe dell’esercito afghano, peraltro scarse, e, soprattutto, quelle della NATO. Quanti sono? Circa 8 mila uomini dell’Alleanza Atlantica, che combattono una guerriglia che non riescono naturalmente a stanare. Quindi, l’Alleanza Atlantica ricorre all’unico mezzo letale che ha veramente a disposizione, cioè ai bombardamenti aerei, che, purtroppo, fanno molte vittime anche tra i civili.
D. – I talebani per cosa combattono in Afghanistan?

 
R. – Qual è l’obiettivo di una guerriglia che non ha oggettivamente la possibilità forse di conquistare un governo centrale e di battere la NATO? E’ quella di creare delle zone “liberate”, cioè delle aree in cui è la guerriglia a comandare. E poi saldare queste aree liberate in Afghanistan con altre, che stanno dall’altra parte del confine, cioè in Pakistan.

 
D. – Il governo pakistano ha perso l’immagine di pilastro per la guerra contro i talebani...

 
R. – In realtà, il Pakistan è sempre stato, lo è da molti anni, il ventre molle del sistema strategico nel subcontinente indiano, che si salda con l’Asia centrale. E Musharraf, soprattutto dopo la vicenda della Moschea Rossa, si è messo in rotta di collisione quasi completa con l’establishment religioso, radicale, ma anche con una parte degli apparati e dei servizi che continuano a sostenere i radicali islamici. Quindi, una situazione potenzialmente esplosiva, in cui in realtà oggi la partita in gioco è proprio la sopravvivenza di Musharraf al potere.

 
 

 
 







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