Il cardinale Saraiva Martins sui martiri di Otranto: accogliendo la Croce nell’amore,
hanno dato la più bella lezione di speranza
“La vera fede, seguendo la via del Maestro, ci chiede di passare attraverso il ‘caso
serio’ della Croce, quale occasione concreta per un amore superiore”: così, il cardinale
José Saraiva Martins, prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi, che ieri
sera, nella Cattedrale di Otranto, in Puglia, ha presieduto la solenne Eucaristia
per la presentazione del Decreto sul martirio dei Beati Antonio Primaldo e di 800
compagni laici,uccisi “in odio alla fede” il 13 agosto 1480, durante l’invasione
turca della città. Il Decreto è stato promulgato dopo l’autorizzazione concessa da
Benedetto XVI nell’Udienza del 6 luglio scorso al cardinale Saraiva Martins. L’omelia
del porporato nel servizio di Roberta Moretti:
“Quei
cristiani di cinque secoli fa hanno dato a questa Chiesa locale la più bella lezione
di speranza!”: questo il pensiero di fondo che accompagna la riflessione del cardinale
Saraiva Martins. Secondo il porporato, “tenere il martirio davanti agli occhi significa
per la Chiesa di oggi assumere l’atteggiamento giusto di fronte al mondo: né quello
della resa accomodante – spiega – né quello della provocazione auto-compiaciuta. L’atteggiamento,
appunto, dei martiri di tutti i tempi, i quali hanno saputo trovare nella promessa
la luce sufficiente per camminare incontro al Signore che viene, sopportando la tribolazione
e senza mai spegnere la speranza”. “Sul tappeto, allora, del nostro vivere quotidiano,
così spesso pieno di delusioni e così vuoto di speranze – esorta il prefetto della
Congregazione delle Cause dei Santi – non possiamo porre una fede che si accontenta
di risposte ovvie e pacificanti. La vera fede – aggiunge – seguendo la via del Maestro,
ci chiede di passare attraverso il ‘caso serio’ della Croce, quale occasione concreta
per un amore superiore”. Venerare i martiri di Otranto, perciò – conclude il cardinale
Saraiva Martins – significa, con le parole di Benedetto XVI, “riconoscerli come ‘testimoni
del grande sì di Dio all’uomo’ e, nello stesso tempo, come coloro che, proprio nella
loro massima fragilità umana, hanno reso visibile il grande sì della fede”.