E’ di almeno 34 vittime il bilancio degli scontri in corso fra tribù arabe rivali
nella martoriata regione sudanese del Darfur, dove un conflitto interetnico che dura
dal 2003 ha già provocato 200.000 morti. A causare le ultime violenze, una lotta intestina
per il controllo della zona di Nyala, nella parte meridionale del Darfur. La scorsa
settimana, in analoghi combattimenti erano morte 16 persone. Oggi, intanto, il Consiglio
di Sicurezza delle Nazioni Unite potrebbe approvare l’autorizzazione per dispiegare
in Darfur una forza Onu-Unione Africana. Sulla situazione nella regione sudanese,
Giada Aquilino ha raccolto la testimonianza di Konstantinos Moschochorìtis,
direttore generale di Medici Senza Frontiere-Italia, organizzazione che da anni opera
nella zona:
R. –
Le nostre ultime notizie sono di una crescente violenza anche nella regione montagnosa
di Jebel Marra, nel Darfur centrale, dove si registrano quasi seimila persone sfollate
in un’area che si chiama Feina.
D. – Qual è la situazione
della popolazione civile in Darfur?
R. – In questo
momento ci sono quasi due milioni di persone che vivono nei campi per sfollati: praticamente
si tratta di prigioni a cielo aperto, perché a causa della poca sicurezza e della
crescente violenza la gente non può uscire da queste aree, nemmeno per fare lavori
quotidiani, come raccogliere la legna per accendere il fuoco e cucinare.
D.
– Ci sono delle emergenze sanitarie particolari?
R. – Sì, anzitutto
c’è l’emergenza relativa alla diarrea, alle infezioni respiratorie, al morbillo e
alla meningite ed è per questo che realizziamo continuamente campagne di vaccinazioni.
C’è poi il problema della malnutrizione, specialmente per i bambini sotto i cinque
anni.
D. – Nei giorni scorsi l’ONU ha denunciato
gravi e sistematiche violazioni dei diritti umani nella regione sudanese, parlando
di “pulizia etnica”. Cosa riferiscono i vostri operatori?
R. – Le persone
che sono fuori dai campi di accoglienza vivono in situazioni di forte insicurezza.
Si tratta di centinaia di migliaia di persone. Proprio per le condizioni in cui vivono,
è molto difficile essere raggiunti dagli operatori umanitari. E questa per noi è ovviamente
la più grande scommessa, quella proprio di arrivare a soccorrere queste persone che
mancano di ogni protezione: le donne rischiano di essere violentate, gli uomini possono
essere arruolati con la forza; manca poi lo stesso diritto alla salute, la gente non
ha da mangiare ed i bambini sono malnutriti.
D.
– Nella regione è atteso il dispiegamento di una forza ONU-Unione Africana. Che poteri
avrà sul campo?
R. – Noi, come organizzazione umanitaria, ci auguriamo
innanzitutto che la pace arrivi in Darfur, ma sarà certamente un processo di lunga
durata. Nel frattempo, per noi, l’emergenza maggiore è quella di aiutare e supportare
la popolazione quotidianamente.