Iraq: emergenza umanitaria nel Paese. Otto milioni di iracheni in difficoltà, denutrito
un bambino su tre
Ancora violenza in Iraq. Un’autobomba ha provocato la morte di 6 persone, 12 i feriti.
L’esplosione è avvenuta nei pressi di una fermata dell’autobus nel centro di Bagdad.
In un’operazione di rastrellamento nella provincia di Anbar, tre soldati americani
sono rimasti uccisi. Con le ultime perdite salgono a 26 i militari americani uccisi
in Iraq nel mese di luglio.
Nel Paese del Golfo cresce l’emergenza umanitaria:
secondo un rapporto presentato oggi dalla ong inglese ‘Oxfam’, 8 milioni di iracheni
hanno bisogno urgente di aiuti. I dati allarmanti parlano di povertà assoluta per
il 43% della popolazione e di denutrizione per un bambino su tre. Mentre l’Unicef
lancia un appello per la scolarizzazione, sempre più in calo. Il servizio di Isabella
Piro:
Ed in Iraq
è il giorno dopo la festa per la vittoria della nazionale di calcio che - per la prima
volta - si è aggiudicata la Coppa d'Asia. Nella finale a Giakarta, in Indonesia, gli
iracheni hanno battuto per 1 a 0 l'Arabia Saudita. A segnare il gol della vittoria,
il capitano Younes Mahmud, che ha guidato senza esitazioni una squadra di giocatori
sciiti, sunniti e curdi. Proprio sulla vittoria di questa formazione unita solo dalla
bandiera irachena, Giada Aquilino ha raccolto il commento di mons. Philip Najim, procuratore
apostolico della comunità caldea in Europa:
R. - E’ l’autentica
faccia dell’Iraq e della sua identità. Quella di ieri è stata davvero la squadra nazionale
che rappresentava tutti gli iracheni: l’Iraq è sempre stato così, non c’è mai stata
distinzione tra sciiti, sunniti, curdi o altre etnie locali. Un popolo unito dal gioco
del calcio, uno sport che poi fa parte della cultura irachena.
D. – I
tifosi hanno detto che i politici iracheni dovrebbero prendere esempio dai calciatori
ed unire l’Iraq. E’ possibile?
R. – L’Iraq potrebbe anche essere come la
squadra che ieri ha giocato e vinto, che ha lavorato per il popolo, per la bandiera
e per la pace. L’auspicio è che i politici, se intenzionati davvero a impegnarsi a
favore dell’uomo, riescano ad alleviare le sofferenze del Paese per creare un futuro
nuovo e prosperoso.
D. – Perché non è stato possibile fino ad ora?
R.
– Perché spesso i politici, nei rispettivi rami, hanno avuto interessi personali e
non hanno dato la priorità alla Nazione e al popolo iracheno.
D. – Allo
stadio di Giakarta, per la finale, c’era lo striscione: “La guerra non ucciderà mai
il calcio”. Quali altre cose non riuscirà a fare la guerra?
R. – La guerra
non può uccidere l’amore, la guerra non può uccidere la pace, la guerra non può uccidere
l’uomo: magari lo uccide fisicamente ma non spiritualmente. Questo è lo spirito degli
iracheni. Ciò che unisce gli iracheni, a prescindere che siano sunniti o sciiti, musulmani
o cristiani, è la terra. Perciò la guerra e il terrorismo specialmente non riusciranno
mai a fermare il processo iracheno verso la pace.
D. – Ci sono segnali
di cambiamento?
R. – Certamente. La vittoria calcistica di ieri è stata
una grande lezione e anche una grandissima sfida contro il terrorismo. I giocatori
della nazionale hanno dato così una lezione al terrorismo e cioè che la volontà dell’iracheno,
per raggiungere la meta della pace e di un avvenire migliore per il Paese, esiste
davvero ed esisterà anche in futuro.