Iracheni in festa nonostante il coprifuoco per la vittoria della nazionale di calcio
nella Coppa d’Asia
Nonostante il coprifuoco imposto dalle autorità, un fiume di iracheni avvolti da drappi
neri, bianchi e rossi ha invaso ieri le strade di Baghdad e non solo per festeggiare
la vittoria della nazionale di calcio dell’Iraq che - per la prima volta - si è aggiudicata
la Coppa d'Asia. Nella finale a Giakarta, in Indonesia, gli iracheni hanno battuto
per 1 a 0 l'Arabia Saudita. A segnare il gol della vittoria, il capitano Younes Mahmud,
che ha guidato senza esitazioni una squadra di giocatori sciiti, sunniti e curdi.
Proprio sulla vittoria di questa formazione unita dalla bandiera irachena, Giada
Aquilino ha raccolto il commento di mons. Philip Najim, procuratore apostolico
della comunità caldea in Europa:
R. -
E’ l’autentica faccia dell’Iraq e della sua identità. Quella di ieri è stata davvero
la squadra nazionale che rappresentava tutti gli iracheni: l’Iraq è sempre stato così,
non c’è mai stata distinzione tra sciiti, sunniti, curdi o altre etnie locali. Un
popolo unito dal gioco del calcio, uno sport che poi fa parte della cultura irachena.
D. – I tifosi hanno detto che i politici iracheni
dovrebbero prendere esempio dai calciatori ed unire l’Iraq. E’ possibile?
R.
– L’Iraq potrebbe anche essere come la squadra che ieri ha giocato e vinto, che ha
lavorato per il popolo, per la bandiera e per la pace. L’auspicio è che i politici,
se intenzionati davvero a impegnarsi a favore dell’uomo, riescano ad alleviare le
sofferenze del Paese per creare un futuro nuovo e prosperoso.
D.
– Perché non è stato possibile fino ad ora?
R. –
Perché spesso i politici, nei rispettivi rami, hanno avuto interessi personali e non
hanno dato la priorità alla Nazione e al popolo iracheno.
D.
– Allo stadio di Giakarta, per la finale, c’era lo striscione: “La guerra non ucciderà
mai il calcio”. Quali altre cose non riuscirà a fare la guerra?
R.
– La guerra non può uccidere l’amore, la guerra non può uccidere la pace, la guerra
non può uccidere l’uomo: magari lo uccide fisicamente ma non spiritualmente. Questo
è lo spirito degli iracheni. Ciò che unisce gli iracheni, a prescindere che siano
sunniti o sciiti, musulmani o cristiani, è la terra. Perciò la guerra e il terrorismo
specialmente non riusciranno mai a fermare il processo iracheno verso la pace.
D.
– Ci sono segnali di cambiamento?
R. – Certamente.
La vittoria calcistica di ieri è stata una grande lezione e anche una grandissima
sfida contro il terrorismo. I giocatori della nazionale hanno dato così una lezione
al terrorismo e cioè che la volontà dell’iracheno, per raggiungere la meta della pace
e di un avvenire migliore per il Paese, esiste davvero ed esisterà anche in futuro.