Pronti a rendere ragione della speranza cristiana nel dialogo con le altre religioni.
Un commento di mons. Vincenzo Paglia al discorso del Papa con il clero bellunese e
trevigiano
Il dialogo con le altre religioni è stato uno dei temi al centro dell’incontro, tenutosi
martedì scorso nella chiesa di Santa Giustina Martire ad Auronzo di Cadore, tra Benedetto
XVI ed il clero delle diocesi di Treviso e Belluno-Feltre. Uno dei 400 sacerdoti presenti
ha chiesto al Papa come sia possibile conciliare le esigenze dell’annuncio del Vangelo
con quelle di un dialogo rispettoso delle altre religioni. Il Pontefice detto che
i cristiani devono “essere pronti a dare ragione della speranza che è in loro” con
“tutte le persone che incontrano”. Il servizio di Amedeo Lomonaco:
Benedetto
XVI ha sottolineato che il mondo non è più uniforme: “Soprattutto nel nostro Occidente
- ha detto il Papa - sono presenti tutti gli altri continenti, le altre religioni,
gli altri modi di vivere la vita umana”. L’odierno contesto - ha aggiunto il Santo
Padre - è simile a quello della Chiesa antica, quando i cristiani erano una minoranza,
un grano di senape che cominciava a crescere, circondato da diverse religioni e condizioni
di vita. In un mondo così composito - oggi come allora - diventa quindi necessaria
la sintesi tra dialogo e annuncio.
"Il primo punto
è che deve essere sempre presente la ragione della nostra speranza. Dobbiamo essere
persone che vivono la fede e che pensano la fede, la conoscono interiormente. Così,
in noi stessi la fede diventa ragione, diventa ragionevole". E
in questo intreccio tra dialogo e annuncio diventa fondamentale essere capaci di vivere
la fede e trovare modi diversi per renderla presente. Su questa priorità, ascoltiamo
il vescovo di Terni-Narni-Amelia, mons. Vincenzo Paglia, presidente
della Commissione ecumenismo e dialogo della Conferenza episcopale italiana:
R.
- La nostra fede deve essere molto più attiva e più attenta. Non si può più vivere
da cristiani per abitudine. E’ necessario che la nostra vita cristiana sia più cosciente
e vera. E questo non solo perché non sia - per così dire - inficiata dagli altri culti
o dalle altre religioni, ma anche perché abbiamo la responsabilità di mostrare agli
altri cosa significhi essere cristiani.
Una responsabilità
che non può prescindere da un incontro segnato dall’amore verso il prossimo, come
afferma Benedetto XVI:
"Il primo aspetto è vivere
con loro riconoscendo il prossimo, il nostro prossimo. Vivere, quindi, in prima linea
l’amore del prossimo come espressione della nostra fede. Io penso che questa sia già
una testimonianza fortissima e anche una forma di annuncio".
Riprendendo
le parole di San Pietro, il Papa ha sottolineato che si deve essere sempre pronti
a dare ragione della speranza. Ascoltiamo ancora mons. Paglia:
R.
- Il primo modo di rendere ragione della nostra speranza è quella di considerare i
prossimi. E’ con l’amore che noi diamo ragione alla nostra speranza, perché Dio è
anzitutto amore. Se noi non siamo amore, quale Dio mostriamo? Ecco perché il Papa
esorta tutti noi cristiani in questo nostro Occidente, che è un diventato un po’ il
laboratorio del mondo intero, ad essere testimoni dell’amore, ma anche fratelli di
tutti.
Il Papa ha poi detto che ci sono elementi
comuni anche nella fede, punti di partenza e leve per il dialogo. Sui valori condivisi
dal cristianesimo con diverse religioni, e in particolare con l’islam, si sofferma
mons. Paglia:
R. - Non poche cose ci uniscono, sebbene
tante ci dividano. Se vogliamo camminare insieme, la prima cosa da fare è cercare
di capirci. Essere religiosi è già un valore comune. C’è quindi una dimensione, che
ovviamente non deve attutire la nostra identità. In realtà, più entriamo in dialogo
con gli altri, più dobbiamo essere Santi. Non teologi, ma soprattutto Santi.
Ed
il dialogo, per poter attecchire, deve essere innescato dal cuore perché è sempre
l’amore il lievito di un’autentica comprensione. Ascoltiamo ancora mons. Paglia:
R.
- “A me ha fatto sempre impressione leggere l’ultima lettera di quel mio caro compagno
di classe e di seminario, don Andrea Santoro, che è stato ucciso lo scorso anno in
Turchia: ‘Attenzione, noi cristiani – si legge nella lettera - abbiamo una ricchezza
rispetto agli altri e della quale non dobbiamo inorgoglirci: l’amore’. Un amore senza
ritorno, gratuito. Questa ricchezza è il grande tesoro che i cristiani sono chiamati
a dare al mondo. Vorrei dire che noi siamo sale perché abbiamo questo amore, siamo
luce perché abbiamo questo amore, gratuito e totale”.
Nella
pluralità c’è dunque lo stesso tendere a Dio e in questo cammino comune – ha detto
il Papa – si realizza “una forma di annuncio umile e paziente”.