La CEI critica l'introduzione del principio della "laicità" nel disegno di legge sulla
libertà religiosa in Italia. Intervista con il prof. Venerando Marano
Non sono poche le preoccupazioni della Conferenza episcopale italiana (CEI) sul nuovo
Disegno di Legge sulla libertà religiosa in Italia. Le ha espresse due giorni fa,
in Commissione Affari costituzionali della Camera dei deputati, il segretario generale
della CEI, mons. Giuseppe Betori, fondandole su alcuni temi ritenuti essenziali. Primo
fra tutti: l’introduzione - definita dal vescovo "singolare e forzata" - del principio
di laicità, quale fondamento della legge sulla libertà religiosa. Francesca Sabatinelli
ne ha parlato con il prof. Venerando Marano, ordinario di Diritto ecclesiastico
e coordinatore dell’Osservatorio giuridico-legislativo della CEI, intervenuto anch’egli
alla Camera:
R.
- Viene introdotto per la prima volta nelle leggi della Repubblica il principio della
laicità, che è un principio costituzionale, ricavato da altri principi, fino ad oggi
enunciato dalla giurisprudenza. Ha una tale importanza che introdurlo in questa maniera
e in questa legge potrebbe risultare forzato, improprio. Ciò che colpisce è l’indicazione
secondo cui la tutela del diritto di libertà religiosa trova fondamento nello stesso
principio di laicità. Ora qui, però, occorre esser chiari: è la libertà religiosa
che - come ha da tempo chiarito la nostra Corte Costituzionale - concorre a definire
il contenuto della laicità. E' la libertà religiosa - semmai - che fonda o concorre
a fondare la laicità. Affermare il contrario, invece, sembra effettivamente una forzatura.
D. - Prof. Marano, un altro punto molto importante,
a suo tempo sollevato, era relativo alla questione dei matrimoni. Si pensa che possa
ritornare il rischio della poligamia...
R. - Da un
lato, bisogna dare atto al lavoro svolto dalla Commissione di aver opportunamente
ripristinato la previsione della lettura degli articoli del Codice Civile nel corso
della celebrazione. Rimane tuttavia molto dubbia la soluzione di fondo, che in questa
nuova formulazione del testo in esame è stata adottata. Secondo questa soluzione,
infatti, la disciplina del matrimonio delle confessioni diverse da quella cattolica,
anche quelle che si ispirano a teorie o a pratiche di tipo poligamico, sarebbero riconosciute
agli effetti civili, in modo paraconcordatario, direi perché la qualificazione dell’istituto
è identica a quella del matrimonio concordatario, matrimonio religioso agli effetti
civili. Questa è una novità che non trova, in realtà, fondamento nel nostro sistema.
Si vede poi che tutta la disciplina è, in qualche modo, modellata su quella concordataria.
Ora, questa omologazione di realtà e di istituti, che sono poi i più diversi, suscita
preoccupazione - credo - non soltanto nei cattolici.
D.
C’è il rischio, a questo punto, che il Disegno di legge in qualche modo arrivi ad
equiparare la religione cattolica addirittura alle sette?
R.
- Dal punto di vista formale, questo rischio è da escludere, perché una espressa disposizione
contenuta nella parte finale della legge esclude la estensibilità della disciplina
che stiamo commentando alla Chiesa cattolica e alle confessioni diverse da quella
cattolica che hanno stipulato intese con lo Stato. Tuttavia, se dal punto di vista
sostanziale accade che la disciplina di diritto comune preveda un regime sostanzialmente
analogo per le confessioni cattoliche prive di intese e di accordi da un lato e la
Chiesa e le confessioni con intese dall’altro: ebbene, il rischio di una omologazione
tendenziale tra le confessioni che sono oggetto di disciplina bilaterale e tutte le
altre confessione, allora questo rischio sussiste.
D.
- La CEI ritiene che ci siano ancora molti passi da fare perché si arrivi ad un testo
soddisfacente?
R. - Credo che sicuramente ci sia
ancora molto da approfondire. Credo che la Conferenza episcopale italiana abbia lealmente
confermato la propria determinazione favorevole alla più ampia tutela della libertà
religiosa ed anche una valutazione favorevole di fondo sulla eventualità di un intervento
legislativo, ma abbia - con molta chiarezza - anche precisato che non qualsiasi intervento
legislativo - e probabilmente non questo intervento legislativo - con queste modifiche
può risultare adeguato rispetto all’esigenza che in linea di principio viene confermata.
Si tratta oggi di valutare se il testo, così come modificato, risulti ancora adeguato
alle esigenze condivise o se, invece, queste modifiche abbiano complessivamente sbilanciato
il delicato punto di equilibrio in precedenza raggiunto e determinino la necessità
di una profonda revisione o anche di una nuova impostazione.