Celebrata la giornata di preghiera per p. Bossi, il sacerdote del Pime rapito nelle
Filippine
A un mese esatto dal suo sequestro nelle Filippine, giornata di preghiera per padre
Giancarlo Bossi, indetta dal PIME in tutto il mondo Secondo il desiderio dei confratelli
di padre Giancarlo Bossi, da un mese esatto ostaggio nelle Filippine, ieri si è celebrata
in tutto il mondo una Giornata di preghiera per il religioso. Al suo arrivo a Lorenzago
di Cadore, era stato Benedetto XVI in persona a confessare ai giornalisti la sua costante
e quotidiana preghiera per padre Bossi. Riascoltiamo le parole del Papa in questo
servizio di Amedeo Lomonaco: “Il mio pensiero va ogni giorno a padre Bossi”,
il missionario italiano rapito esattamente un mese fa nelle Filippine. E’ quanto ha
detto ieri Benedetto XVI, incontrando i giornalisti, subito dopo essere arrivato a
Lorenzago di Cadore per trascorrere un periodo di riposo fino al prossimo 27 luglio.
Ascoltiamo le parole del Santo Padre: "Ho parlato ieri con il nuovo sostituto della
Segreteria di Stato che era nunzio nelle Filippine fino ad alcuni giorni fa e mi ha
dato le ultime informazioni. Speriamo, preghiamo che il Signore ci aiuti". Giancarlo
Bossi è stato rapito lo scorso 10 giugno nei pressi della sua parrocchia, nella provincia
meridionale di Mindanao. Dopo la recente pubblicazione delle foto del missionario
e la diffusione di un messaggio audio di padre Bossi, si è riaccesa la speranza. Ma,
nonostante l’impegno dei governi italiano e filippino e le vaste operazioni di ricerca
condotte dall’esercito di Manila, non sono ancora chiari né il motivo del rapimento
né l’identità dei rapitori. "Il Signore gli doni abbondante coraggio, la speranza
e la pazienza, e ai suoi sequestratori Dio tocchi il cuore". E' questo un passaggio
della lettera con la quale il superiore generale del Pontificio Istituto delle Missioni
estere (PIME), padre Gian Battista Zanchi, ha invitato tutte le sue comunità e insieme
tutte le persone di buona volontà a stringersi in preghiera il 10 luglio per padre
Bossi. Oggi, intanto, nella chiesa di Sant'Antonio Claret a Zamboanga, la comunità
cattolica locale ha celebrato una Messa per implorare da Dio la rapida liberarzione
di padre Bossi. Sulla Giornata di preghiera per il missionario, Cecilia Seppia ha
raccolto un commento di Padre Zanchi: R. - Si tratta di un’iniziativa che
ho proposto alcuni giorni fa, pur sapendo che fin dal primo giorno non soltanto noi
missionari ma tante altre persone di tanti altre fedi si sono rivolte subito al Signore
con la preghiera. Si voleva sottolineare in particolare che, al di là di tutte le
iniziative pur buone che appoggiamo ovunque, dobbiamo rivolgerci al Signore perché
può veramente muovere il cuore e la mente soprattutto di coloro che hanno sequestrato
e che tengono in ostaggio il padre Bossi. In tutte le parti del mondo, dove i missionari
del PIME sono presenti, si invita tutta la gente a pregare per questo stesso fine.
D. - E c’è finora una buona risposta anche da parte delle persone, non
soltanto delle istituzioni...
R. - Direi che veramente c’è grande risposta.
Ogni giorno, riceviamo telefonate anche di gente semplice che non solo ci dà l’appoggio,
ma che continua a dire: “Ci uniamo a questa preghiera”. Soprattutto, oggi sappiamo
che molte ma molte persone, anche non cristiane si uniscono a questa preghiera, là
dove sono i nostri missionari. E questo è veramente di conforto. D. - Cosa è emerso
dall’incontro tra i padri del PIME, la Polizia locale, l’esercito, le autorità filippine
e il personale dell’ambasciata italiana, svoltosi ieri? R. - Sono convinti di aver
localizzato il posto giusto, dove padre Bossi è tenuto prigioniero. Pensano di privilegiare
un canale di comunicazione, e non hanno detto quale, ma tra i tanti possibili ne hanno
fissato uno. Continuano a dire di non credere a quanto i giornali scrivono, il compromesso
di Abu Sayyaf o altri grossi partiti politici pensano sempre a quel gruppo ristretto
di fuoriusciti da qualche partito un po’ grosso. D. - E per quanto riguarda invece
la decisione di designare un mediatore unico per le trattative, pensa che sia una
decisione giusta? R. - Sì, altrimenti - come già per l’esperienza passata con il
sequestro di padre Benedetti - troppe persone poi si presentano e dicono di essere
il vero intermediario e parlano a nome dei rapitori. Invece, l’importante è incaricare
una persona sola e scegliere una sola via.
Il PIME aveva espresso già ieri
dubbi sulla matrice estremista dietro il sequestro di padre Bossi. Una posizione condivisa
dall'inviato italiano nelle Filippine, Margherita Boniver, secondo la quale la sorte
del religioso sarebbe nelle mani di delinquenti comuni e non di terroristi. Ascoltiamo
l'esponente del governo italiano, appena rientrata dalla sua missione a Zamboanga
City, in questo servizio di Cecilia Seppia, che fa il punto della situazione a un
mese dal rapimento: Da qualche parte nascosto nelle foreste del sud delle
Filippine, padre Bossi è ancora nelle mani dei suoi sequestratori. L’arrivo delle
sue fotografie, diffuse dai media locali e poi giunte alla Farnesina pochi giorni
fa, aveva riacceso la speranza ma l’identità dei rapitori e il motivo del loro gesto
rimangono ancora un mistero. Il nuovo responsabile per la sicurezza di Manila, Norberto
Gonzales, non esclude che il missionario sia ostaggio del gruppo di Abu Sayyaf ma
per l’ex sottosegretario agli esteri, Margherita Boniver, esistono altre ipotesi sui
rapitori. Il capo dell’esercito ha parlato per esempio di fuoriusciti dal Fronte moro
islamico di liberazione. Niente di più di un gruppo di malfattori, banditi comuni
in cerca di denaro, non estremisti spietati come ha spiegato l’onorevole Margherita
Boniver: "Il gruppo di Abu Sayyaf, legato all’Al-qaedismo internazionale, è un
gruppo pericolosissimo che però sembrava essere anche molto sbandato e diviso negli
ultimi tempi. Diciamo, quindi, che se padre Bossi fosse poi stato rapito dal gruppo
legato ad Abu Sayyaf, cioè Al-Qaeda, questa ipotesi rappresenterebbe lo scenario peggiore.
Se invece è più corretta sui sequestratori l’altra ipotesi - che come dicevo mi è
stata prospettata dai vertici militari sul territorio - cioè quella del gruppo di
fuoriusciti dal movimento politico di indipendenza che è in colloquio con il governo
centrale, questi sarebbero invece addirittura degli sbandati, dei fuoriusciti più
interessati ad un riscatto che a rivendicazioni politiche". Di fatto, il sequestro
del missionario del Pontificio istituto missioni estere è però caduto in un momento
politicamente particolare per il governo di Manila. Esperti delle Filippine hanno
spiegato infatti che tirare in ballo gli estremisti islamici di Abu Sayyaf potrebbe
avere delle implicazioni e generare ulteriori incongruenze. Sul dramma di padre Giancarlo
Bossi, un’unica certezza: la necessità di stabilire quanto prima un contatto con i
sequestratori e aprire un canale di trattative.