Pubblicato dalla Congregazione per la Dottrina della Fede un documento riguardante
alcuni quesiti sulla Chiesa cattolica. Intervista con l'arcivescovo, Angelo Amato
Una serie di risposte a domande per “evitare interpretazioni erronee o riduttive”
di quanto insegnato dal Concilio Vaticano II sulla natura della Chiesa cattolica.
E’ questo lo scopo del documento reso noto questa mattina dalla Congregazione per
la Dottrina della fede intitolato, per l’appunto, “Risposte a quesiti riguardanti
alcuni aspetti circa la Dottrina sulla Chiesa”. (testo integrale sul nostro sito in
Documenti Vaticani). Un documento dagli importanti risvolti ecumenici, che chiarisce
in particolare l’aspetto secondo il quale la Chiesa di Cristo “sussiste” in quella
odierna, guidata dal Papa e dai vescovi. Per una illustrazione del documento, Alessandro
De Carolis ha intervistato il segretario della Congregazione per la Dottrina della
fede, l’arcivescovo Angelo Amato:
R. -
Di fronte a interpretazioni erronee o riduttive della dottrina conciliare, la Congregazione
per la Dottrina della Fede intende richiamare il significato autentico dell’espressione
“subsistit in” che si trova nella costituzione dogmatica sulla Chiesa Lumen gentium.
D. - Perché si usa il genere letterario dei Responsa
e cioè di risposte a dubbi?
R. - È un genere che
non implica argomentazioni diffuse e molto articolate, proprie ad esempio delle Istruzioni
o delle Note dottrinali. Nel nostro caso, invece, si tratta di alcune brevi risposte
a dubbi relativi alla corretta interpretazione del Concilio. In concreto ci sono cinque
domande e cinque sintetiche risposte, che si limitano a richiamare il Magistero per
offrire una parola certa e sicura in materia.
D.
- Ci può illustrare in breve il contenuto dei Responsa?
R.
- Il primo quesito chiede se il Concilio Ecumenico Vaticanno II abbia cambiato la
precedente dottrina sulla Chiesa. La Congregazione risponde affermando che il Concilio
Ecumenico Vaticano II né ha voluto cambiare né di fatto ha cambiato tale dottrina,
ma ha voluto solo svilupparla, approfondirla ed esporla più ampiamente, come del resto
affermò con chiarezza Giovanni XXIII all’inizio del Concilio: "Il Concilio… vuole
trasmettere pura e integra la dottrina cattolica, senza attenuazioni o travisamenti".
D. - Sembra che il secondo quesito sia quello centrale.
Si domanda infatti: come deve essere intesa l’affermazione secondo cui la Chiesa di
Cristo sussiste nella Chiesa cattolica ?
R. - Sì.
È il quesito che ha subìto varie interpretazioni e non tutte coerenti con la dottrina
conciliare sulla Chiesa. La risposta della Congregazione, citando il Concilio, dice
che Cristo ha costituito sulla terra un’unica Chiesa: “Questa Chiesa (…) sussiste
nella Chiesa cattolica, governata dal Successore di Pietro e dai Vescovi in comunione
con lui”. La sussistenza indica la perenne continuità storica e la permanenza di tutti
gli elementi istituiti da Cristo nella Chiesa cattolica, nella quale concretamente
si trova la Chiesa di Cristo su questa terra.
D.
- Perché il Concilio adopera l’espressione “subsistit in” e non semplicemente la forma
verbale “è” ?
R. - Qualcuno ha interpretato ciò come
un cambiamento radicale della dottrina sulla Chiesa. In realtà l’espressione “subsistit
in”, che riafferma la piena identità della Chiesa di Cristo con la Chiesa cattolica,
non cambia la dottrina sulla Chiesa. Essa, però, esprime più chiaramente come al di
fuori della sua compagine non ci sia un vuoto ecclesiale, ma si trovino “numerosi
elementi di santificazione e di verità”, “che in quanto doni propri della Chiesa di
Cristo spingono all’unità cattolica”.
D. - Queste
risposte hanno anche un importante risvolto ecumenico. Per questo, il quarto quesito
si chiede: perché il Concilio Ecumenico Vaticano II attribuisce il nome di “Chiese”
alle Chiese orientali separate dalla piena comunione con la Chiesa cattolica ?
R.
- La risposta viene mutuata dal decreto conciliare sull’ecumenismo, che afferma: "Siccome
poi quelle Chiese, quantunque separate, hanno veri sacramenti e soprattutto, in forza
della successione apostolica, il Sacerdozio e l’Eucaristia, per mezzo dei quali restano
ancora unite con noi da strettissimi vincoli”, meritano il titolo di 'Chiese particolari
o locali', e sono chiamate Chiese sorelle delle Chiese particolari cattoliche". Occorre,
tuttavia, precisare che la comunione con la Chiesa cattolica, il cui Capo visibile
è il vescovo di Roma e Successore di Pietro, non è un qualche complemento esterno
alla Chiesa particolare, ma uno dei suoi principi costitutivi interni. Per cui la
condizione di Chiesa particolare, di cui godono quelle venerabili Comunità cristiane
dell’Oriente, risente di una carenza. D. - Ed eccoci all’ultimo
quesito, che domanda: Perché i testi del Concilio e del Magistero successivo non attribuiscono
il titolo di “Chiesa” alle Comunità cristiane nate dalla Riforma del 16° secolo ?
R.
- A questo riguardo bisogna dire che la ferita è ancora molto più profonda. Sorte
dopo un millennio e mezzo di tradizione cattolica, queste comunità non hanno custodito
la successione apostolica nel sacramento dell’Ordine, privandosi di un elemento costitutivo
essenziale dell’essere Chiesa. A causa della mancanza del sacerdozio ministeriale
queste comunità non hanno conservato la genuina e integra sostanza del Mistero eucaristico.
Per questo, secondo la dottrina cattolica, non possono essere chiamate “Chiese” in
senso proprio.
D. - Cosa può aggiungere per concludere?
R.
- Sono tre le conclusioni che possiamo tirare dai Responsa. Anzitutto c’è continuità
tra la dottrina tradizionale, quella conciliare e quella postconciliare. Il volto
nuovo nella Chiesa non implica rottura ma armonia in una comprensione sempre più adeguata
della sua unità e della sua unicità. In secondo luogo, l’unica Chiesa di Cristo, nonostante
le divisioni, sussiste nella storia nella Chiesa cattolica. Non è pertanto corretto
pensare che la Chiesa di Cristo oggi non esisterebbe più in alcun luogo o che esisterebbe
solo in modo ideale ossia in fieri in una futura convergenza o riunificazione delle
diverse Chiese sorelle, auspicata e promossa dal dialogo. Con la parola “subsistit”
il Concilio voleva esprimere la singolarità e la non moltiplicabilità della Chiesa
di Cristo: esiste la Chiesa come unico soggetto nella realtà storica. In terzo luogo,
l’identificazione della Chiesa di Cristo con la Chiesa cattolica non è da intendersi
come se al di fuori della Chiesa cattolica ci fosse un “vuoto ecclesiale”, dal momento
che nelle chiese e comunità ecclesiali separate si danno importanti elementa Ecclesiae.
In conclusione, eliminando interpretazioni spurie sulla Chiesa, i Responsa contribuiscono
a rafforzare il dialogo ecumenico, che, oltre all’apertura agli interlocutori, deve
ancora salvaguardare l’identità della fede cattolica. Solo in tal modo si potrà giungere
all’unità di tutti i cristiani in “un solo gregge e un solo pastore” (Gv 10, 16) e
sanare così quella ferita che tuttora impedisce alla Chiesa cattolica la realizzazione
piena della sua universalità nella storia.