Un documento ricco di novità che esorta al dialogo e alla riconciliazione: la riflessione
dello storico Giovagnoli sulla Lettera del Papa ai cattolici cinesi
La Lettera di Benedetto XVI ai cattolici cinesi rappresenta storicamente una grande
novità: è quanto sottolinea il prof. Agostino Giovagnoli, docente di storia
contemporanea all’Università Cattolica di Milano. Esperto di questioni cinesi, il
prof. Giovagnoli si sofferma nell’intervista di Alessandro Gisotti sugli aspetti
inediti di questo documento pontificio:
R. – Anzitutto,
è rivolta ai cattolici della Repubblica Popolare Cinese, quindi in apertura viene
espressamente richiamata l’espressione “Repubblica Popolare”, cioè lo Stato comunista
della Cina. La Lettera è, inoltre, rivolta a tutti i cattolici cinesi, senza distinzioni
fra i vari gruppi cosiddetti “ufficiali” oppure “underground”. Già nell’apertura,
perciò, c’è questo tono di innovazione. Ma la novità vera è nella sostanza, nel senso
che il messaggio fondamentale della Lettera, cioè il messaggio dell’unità dei cattolici
da raggiungere attraverso le vie della riconciliazione, dell’intesa, del perdono reciproco,
direi che prevale su tutto il resto. Il Papa indica davvero una direzione nuova al
cattolicesimo cinese, disinnescando, in qualche modo, quella costante tensione che
ha accompagnato la presenza cattolica in Cina negli ultimi 50 anni. Questa è una novità
veramente rilevante e alla quale si collega strettamente anche un modo diverso di
rapportarsi al Governo cinese, che è molto sereno nelle sue linee di fondo.
D.
– Dunque, una Lettera caratterizzata da un linguaggio sereno, dialogante. Le parole
del Papa sembrano inoltre incoraggiare la comunità cattolica cinese, che ha sofferto
e soffre tuttora tensioni e divisioni…
R. – Certamente.
Direi anzi che la Lettera è anche audace in alcuni passaggi, per esempio laddove invita
i cattolici, tutti, a cercare il riconoscimento da parte delle autorità. Autorità,
queste, che vengono ulteriormente rassicurate da una frase in cui si dice che mai
la Chiesa cattolica cerca il cambiamento delle strutture politiche o amministrative
come sua finalità specificità, seppure non si tira indietro nell’affermazione di principi
di giustizia. Direi che in qualche modo – se mi è lecita un’espressione impropria
per un documento di questo genere – questa Lettera potrebbe essere letta come la “rottura”
più totale rispetto ad una logica di guerra fredda, che è stata percepita in passato
da parte di Pechino nei confronti del Vaticano. Un particolare molto interessante
è che in questa Lettera non ci sono citazioni anteriori al Vaticano II. Sono numerose
quelle di Giovanni Paolo II, sono numerose quelle dello stesso Benedetto XVI, ma si
è voluto lasciare molto lontano un passato che è definitivamente passato, anche grazie
a questa Lettera.
D. – Con la Lettera, il Papa istituisce
una Giornata di preghiera della e per la Chiesa che è in Cina. Quali frutti possono
nascere da questa iniziativa?
R. – Naturalmente i
frutti più importanti sono quelli dello spirito e quindi non sono certo decifrabili
dal punto di vista storico. Significativa è la scelta di una Giornata di preghiera
il 24 maggio, Festa della Madonna di Sheshan. La Madonna di Sheshan è una Madonna
verso la quale c’è in Cina una grande devozione: è collocata nella diocesi di Shangai,
dove c’è anche il Seminario di questa diocesi; è una devozione condivisa dai cattolici
“di sopra” e “di sotto”, come vengono chiamati in altre parole i “patriottici” e i
“clandestini”. Quindi, anche questa Giornata rafforza ulteriormente quel senso così
limpido dell’unità della Chiesa, della sua cattolicità se vogliamo, che Benedetto
XVI ha voluto sottolineare sia per quanto riguarda la Chiesa in Cina, sia per quanto
concerne i rapporti tra questa Chiesa e la Chiesa universale.