La Lettera di Benedetto XVI ai cattolici cinesi favorirà una rinnovata evangelizzazione
della Cina: così, ai nostri microfoni, il sinologo del PIME, padre Angelo Lazzarotto
A pochi giorni dalla pubblicazione della Lettera del Papa ai cattolici di Cina, i
fedeli del grande Paese asiatico esprimono gratitudine al Santo Padre per questo gesto
d’amore paterno. E’ quanto sottolinea l’agenzia Fides, che parla di mobilitazione
da parte dei cattolici cinesi per diffondere quanto più possibile la Lettera di Benedetto
XVI. Sui passaggi chiave del documento, Alessandro Gisotti ha intervistato
padre Angelo Lazzarotto, missionario del PIME e apprezzato sinologo. A lungo
attivo ad Hong Kong, padre Lazzarotto mette innanzitutto l’accento sul carattere di
novità della Lettera:
R.
- E’ significativo il fatto che il Papa sia riuscito ad affrontare una complessità
di temi, di situazioni, in una maniera così limpida, così serena, così fraterna, paterna
direi. Un modo che certo non può non impressionare tutti, anche chi lo legge in Cina,
dove appunto sentono sulla propria pelle questi problemi. Mi pare che il tono con
cui il Papa si rivolge alla Chiesa di Cina, addirittura anche alla classe politica,
sia un tono così rispettoso ma anche limpido, chiaro, che fa appello non a una strategia
di prevalenza, di potere, ma alla realtà della Chiesa cattolica, di cui si sente responsabile.
D.
- Ecco, Benedetto XVI auspica, fin dalle prime pagine del documento, una normalizzazione
dei rapporti con le autorità civili: lo fa richiamando i principi della verità e della
carità. Il Papa usa un linguaggio nuovo, sereno ma coraggioso al tempo stesso...
R.
- Sì, penso che il Papa quando parla, per esempio, del suo ruolo come pastore supremo
della Chiesa cattolica nella nomina dei vescovi, lo faccia in una maniera semplice
che si richiama alla tradizione cattolica, ma anche aiutando questi dirigenti che
non sono cristiani e che, anzi, si riferiscono ad una ideologia che sappiamo non è
molto benevola nei confronti della religione in genere. Si rivolge a loro aiutandoli
a capire che questa tradizione - che in Cina spesso è definita una pretesa del Papa
di interferire nelle cose della Cina - è accettata sul piano internazionale, anche
da convenzioni riconosciute. Non si tratta di un’autorità politica, dice il Papa,
che si intromette indebitamente negli affari interni di uno Stato, ma anzi questa
nomina dei pastori da parte del Papa è intesa anche in documenti internazionali come
un elemento costitutivo dell’esercizio pieno del diritto alla libertà religiosa da
parte del Papa. Questa è una maniera nuova, che è proprio tesa al dialogo.
D.
- Un Papa che con grande umiltà chiede ascolto...
R.
- Direi di sì, nel senso che si rende conto che, nello stile cinese, non ci devono
essere vinti o vincitori in una discussione, ma dovrebbero esserci due vincitori:
bisogna cioè lasciare spazio anche all’altra parte di avere il diritto di dire la
sua, di avere una certa rivendicazione dei propri punti di vista.
D.
- Questo documento così ricco di speranza, che mette l’accento sulla comunione dei
cattolici cinesi fra loro e con la Sede di Pietro, può favorire una rinnovata evangelizzazione
nel grande Paese asiatico?
D. - Io direi di sì, non
solo nel grande Paese della Cina, ma nell’Asia e nel mondo. Finora, purtroppo, le
circostanze anche politiche hanno chiuso la Chiesa di Cina ai contatti addirittura
con le Chiese più vicine. Il fatto, ad esempio, che alcune settimane fa, una delegazione
ufficiale da Pechino sia andata in Vietnam a Hochiminville, a interpellare quel vescovo
sui nuovi rapporti che si sono instaurati con il governo vietnamita, mi pare una cosa
nuova. Ancora, il fatto che quel vescovo abbia poi fatto una pubblica dichiarazione
augurandosi che i vescovi della Cina possano riunirsi tra di loro per discutere la
nuova situazione, mi paiono segni positivi che - è auspicabile - potrebbero portare
la Chiesa di Cina a inserirsi a pieno titolo nella vita della Chiesa universale. Quindi,
è una Lettera che ha aperto grandi vie nuove all’evangelizzazione e alla missionarietà.