Don Mario Picchi, fondatore del CEIS, ha festeggiato i 50 anni di sacerdozio
Sono stati commemorati ieri i 50 anni di sacerdozio di don Mario Picchi, fondatore
del CEIS, il Centro Italiano di Solidarietà, che si occupa del recupero di tossicodipendenti.
In serata si è tenuta una Santa Messa nella sede del Centro a Roma per celebrare questa
importante ricorrenza. Ma come è cominciato l'impegno di questo sacerdote nel mondo
del volontariato? Risponde lo stesso don Mario Picchi, al microfono di Eliana
Astorri:
R. -
Direi che è cominciato prima che diventassi sacerdote, perché è stata tutta una scelta
volontaria quella di diventare prete e poi è stata, ogni giorno, un’alba nuova a mettermi
nelle mani di Dio e lasciare lavorare lui, essere più duttile possibile, magari deludendo
anche un po’ il Padre Eterno. Per dieci anni sono stato vice parroco a Pontecurone,
nel Paese di don Orione, un piccolo paese agricolo, nella padana inferiore e diciamo
pseudo industriale. Dopo 10 anni io avevo programmato di andare forse a fare un’esperienza
in Inghilterra, eravamo nel ’67, ’68, e ero curioso di vedere da vicino che cosa volevano
i giovani, mi sentivo anche molto giovane - sono del ’30 - e invece sono venuto a
Roma e il Padre Eterno ha voluto diversamente. Veramente non ero partito con l’intenzione
di occuparmi della droga, ma volevo vivere in mezzo ai giovani. Ero cappellano degli
operai, però gli operai avevano dei figliuoli e quindi con i figliuoli avevamo creato
dei gruppi di animazione all’interno delle parrocchie contro la guerra, contro la
fame nel mondo e insomma facendo qualcosa di concreto contro il disagio, l’emarginazione.
E stavamo facendo anche delle piccolissime cose, però insieme a questi gruppetti di
giovani che creavamo, poi, sono cominciati ad arrivare i capelloni, i figli dei fiori,
tutta quella bellissima e meravigliosa giovinezza che esplodeva intorno agli anni
’67-’70, e ci siamo incontrati con il problema della droga senza sapere cosa fare
e quindi ci rivolgevamo a medici, cliniche, a qualcuno che ci desse una mano. Abbiamo
cominciato a girare, andare a vedere all’estero cosa si faceva, e abbiamo creato questa
associazione “Centro Italiano di Solidarietà” e poi abbiamo cominciato a scopiazzare,
ma la mia idea era quella di mantenere vivo il rapporto umano: l’abbiamo chiamata
“Progetto uomo”.
D. – Oggi siete un importante punto
di riferimento...
R. – Oggi lo siamo forse perché
abbiamo maturato dentro di noi questa crescita, abbiamo preso un po’ da tutti, però
abbiamo messo soprattutto la grande volontà di incontrare l’uomo, di non lasciare
spegnere la speranza che in ogni persona è possibile la risurrezione. Diceva don Tonino
Bello che il cuore dell’uomo è sempre coperto di questo masso che ne impedisce la
respirazione e solo con la risurrezione c’è l’esplosione di questo masso che libera
i cuori verso l’infinito.