Madrid accusa: c'è Al Qaeda dietro l'uccisione di sei caschi blu spagnoli in Libano
Esecrazione e condanna unanime da parte di tutta la comunità internazionale per l’attentato
suicida, che ieri nel sud del Libano è costato la vita a sei caschi blu spagnoli dell’ONU
– tre dei quali di origine colombiana – facenti parte della missione Unifil a guida
italiana. Il governo di Madrid addossa le responsabilità dell’accaduto al gruppo Fatah
al Islam, movimento legato ad Al Qaeda, che da oltre un mese si sta scontrando con
l'esercito libanese in aspri combattimenti nel campo profughi palestinese di Nahr
el Bared nel nord del Libano. Per un’analisi dell’episodio Giancarlo La Vella
ha raccolto il parere di Antonio Ferrari, editorialista ed inviato speciale
del Corriere della Sera:
R. -
E’ grave perchè può creare problemi a tutti quei Paesi, a cominciare dall’Italia,
che sono coinvolti in questa vicenda. A questo punto diventa essenziale capire se
si è trattato di un episodio isolato - ma c’è da dubitarne – o se invece siamo davanti
all’inizio di una nuova strategia. In questo secondo caso, ci sarebbe da essere veramente
preoccupati per quello che potrà accadere da adesso in poi, per la situazione libanese,
con tutte le fragilità, con lo stretto controllo da parte della Siria che non ne vuole
perdere il protettorato, con il fatto che la Siria deve anche rispondere ad un tribunale
internazionale, che ha organizzato o fatto eseguire, o magari anche eseguito l’assassinio
dell’ex primo ministro Rafik Hariri e tutta la serie di delitti eccellenti che sono
venuti dopo. Quindi, una situazione delicatissima da quel punto di vista. E’ evidente
che qui ci sono delle forze parallele o anche antitetiche rispetto ad Hezbollah sul
campo, che però rispondono a logiche destabilizzanti, che in qualche modo possono
essere riconducibili ai padrini dell’Hezbollah.
D.
– In ogni caso, questo episodio si può leggere con la volontà di portare avanti una
nuova strategia che inizia proprio col tenere lontana la comunità internazionale dal
Libano?
R. – Sicuramente è un cercare di indebolire
e scoraggiare questa presenza internazionale e cercare di spaventare la comunità internazionale,
con una serie di operazioni clamorose.
D. – A questo
punto è opportuno rafforzare la presenza internazionale in Libano oppure, al contrario,
allentarla...
R. – Io credo che oggi non sia il caso
di allentarla. Possibilmente, bisognerebbe renderla ancora più incisiva ed efficace.
Questo non significa una preponderanza militare o un mutamento delle regole di ingaggio,
ma significa proprio dimostrare ai malintenzionati che, in questo momento, stanno
cercando di appiccare l’incendio nel nome del “tanto peggio, tanto meglio”, che, comunque,
il mondo sta a guardare molto attentamente e saprà prendere anche delle decisioni.
A questo punto il momento è delicatissimo. Credo che la politica dovrà dire la sua.
Mostrare debolezza oggi sarebbe il gioco chiaro e limpido di chi vuole sabotare tutto
e ritrasformare il Libano nell’arena di tutti gli scontri possibili.