In Iraq, condannati a morte tre ex esponenti del deposto regime di Saddam Hussein
per il genocidio dei curdi. Tra questi, "Ali il Chimico" - La NATO ammette di aver
provocato vittime civili durante i raid dei giorni scorsi in Afghanistan
In Iraq, il Tribunale speciale iracheno ha emesso tre condanne a morte nel processo
per il genocidio dei curdi alla fine degli anni ‘80. In questo periodo, poco prima
della conclusione formale della guerra con l’Iran, il regime di Saddam Hussein aveva
avviato, infatti, una campagna contro la popolazione curda nelle regioni nord-orientali.
Secondo varie fonti, il genocidio è costato la vita ad oltre 180.000 persone. Sulle
sentenze del Tribunale speciale iracheno, il nostro servizio:
Ali Hassan
al Majad, cugino di Saddam Hussein, detto “Ali il Chimico”, è stato condannato a morte
per il ruolo avuto nel genocidio curdo attuato nella campagna “Anfal”, lanciata alla
fine degli anni ottanta. La sentenza è stata comminata questa mattina dal Tribunale
speciale iracheno (TSI) a Baghdad. Il Tribunale ha emesso altre due condanne a morte:
una all’ex ministro della Difesa durante il regime di Saddam, Sultan Hashem Ahmad,
l’altra ad un ex alto ufficiale dell'esercito, Hussein Rashid Muhmmad. Il Tribunale
ha inoltre condannato all'ergastolo altri due ex dirigenti dei servizi segreti del
deposto regime di Saddam Hussein. Assoluzione piena, invece, per l’ex governatore
di Mossul. Cugino e genero dell'ex presidente iracheno Saddam Hussein, nato 66 anni
fa nella regione settentrionale di Tikrit, “Ali il Chimico” è considerato il responsabile
dell'attacco con gas nervino contro Halabja. In questa cittadina nel 1988, in piena
guerra contro l'Iran, furono uccisi 5.000 civili curdi. Dopo l’ultima guerra con gli
Stati Uniti, è stato catturato nel nord dell’Iraq il 21 agosto 2003. A proposito delle
accuse che gli sono state rivolte sul genocidio curdo, "Ali il Chimico" ha apertamente
riconosciuto di aver ordinato di utilizzare i gas contro la popolazione civile. Intanto,
sul terreno, si continuano a registrare pesanti tra le truppe americane. Il bilancio
delle ultime 24 ore parla di 10 soldati statunitensi vittime di attacchi della guerriglia.
Vittime anche tra i civili: un gruppo di uomini armati ha ucciso sei passeggeri a
bordo di un minibus nella città sciita di Kerbala.
- Le forze della NATO
hanno ammesso che un‘operazione contro un gruppo di insorti alla frontiera con il
Pakistan ha causato vittime tra i civili. L’ammissione è avvenuta all'indomani dell'annuncio
della Nato dell’uccisione di 60 talebani. Le autorità pachistane hanno anche reso
noto che 10 civili pachistani sono stati uccisi da un razzo sparato da forze dell'Isaf.
Ieri il presidente afghano, Hamid Karzai, aveva definito “sconsiderati” i bombardamenti
della NATO e aveva dichiarato che “le morti di civili non saranno più tollerate”.
Alla ferma condanna del premier afghano seguono le dichiarazioni del ministro della
Difesa italiano, Arturo Parisi che, in una nota ufficiale, afferma: “La denuncia del
presidente Karzai ci chiama ad essere più esigenti e a chiedere chiarimenti e assicurazioni
definitive”.
- Alcuni israeliani sono rimasti feriti stamane nella città di
Sderot dall'esplosione di un razzo sparato da miliziani palestinesi dal nord della
Striscia di Gaza. Il razzo ha anche provocato danni materiali ad un condominio e ad
alcune vetture in sosta. Il lancio del razzo è stato rivendicato dal movimento radicale
palestinese della Jihad islamica. Da Gaza arriva poi la notizia che l’ex premier Haniyeh
pronuncerà un discorso alla Nazione nel pomeriggio di oggi. Secondo l’agenzia palestinese
Maan, Haniyeh proporrà a nome di Hamas di riprendere un dialogo politico con al-Fatah.
L’atteso discorso di Haniyeh si colloca nella delicata vigilia del vertice regionale
a quattro sul Medio Oriente, in programma domani a Sharm el-Sheikh, in Egitto, dove
ci saranno il leader dell’Autorità Nazionale Palestinese, Abu Mazen, il premier israeliano
Ehud Olmert, Abdallah II di Giordania e il presidente egiziano Hosni Mubarak. Al centro
del dibattito, la Striscia di Gaza ora nelle mani di Hamas. Sul significato dell’incontro,
Giada Aquilino ha intervistato Camille Eid, esperto di questioni mediorientali
del quotidiano Avvenire:
R. –
Questo vertice rappresenta un riconoscimento da parte araba all’autorità di Mahmud
Abbas (Abu Mazen), contrapposta al movimento Hamas, accusato di aver fatto un “colpo
di Stato” nella Striscia di Gaza. E tale presa di posizione mette fine a quello che
è stato negli ultimi anni il ruolo egiziano di mediazione tra Hamas e Fatah. Tra l’altro,
l’Egitto ha accusato l’Iran di aver incoraggiato Hamas a intraprendere il colpo di
mano nella Striscia, che rappresenta una minaccia per la sicurezza egiziana e regionale.
Adesso bisogna solo attendere quali misure prenderanno Egitto e Giordania, oltre ad
Israele, nei confronti di Hamas.
D. – I Territori palestinesi sono
di fatto divisi in due entità separate: Gaza, controllata da Hamas, e la Cisgiordania,
che resta nelle mani di Fatah. Israele e Stati Uniti hanno appoggiato Abu Mazen. In
questo quadro, l’idea della nascita di uno Stato palestinese è ancora valida?
R.
– E’ ancora valida, ma l’Egitto teme l’ipotesi di una Cisgiordania first – Cisgiordania
prima che - con una riduzione delle sanzioni internazionali nei confronti dei territori
gestiti da Al Fatah - taglierebbe ogni collegamento anche ideale, perché geografico
non esiste, tra la Striscia e la Cisgiordania. Se Israele taglierà – come ha minacciato
– i rifornimenti di acqua e luce alla Striscia, Hamas andrà ulteriormente a dipendere,
per la sua sopravvivenza, dalle misure intraprese dall’Egitto: già fino a oggi armi
e finanziamenti sono sempre arrivati alla Striscia passando per l’Egitto. Forse Mubarak
intende ora dire a Hamas che, se anche Il Cairo dovesse aderire all’ipotesi di Cisgiordania
prima, nel giro di poche settimane o di pochi mesi la Striscia non ce la farebbe.
Ma il vertice regionale di Sharm potrebbe pure cercare di favorire una ripresa dei
negoziati tra l’Autorità Nazionale Palestinese e gli israeliani, di modo che, in poco
tempo, la popolazione di Gaza sarebbe incentivata a chiedere di ritornare sotto il
governo di Abu Mazen, liberandosi di Hamas. Ovviamente, però, Israele ha altre possibilità:
c’è chi medita una occupazione parziale per impedire il contrabbando di armi, oppure
– ma qui sono in pochi a suggerirlo – e chi pensa a una rioccupazione completa, ma
ciò poi implicherebbe una feroce resistenza da parte di Hamas.
- In Libano,
7 militari libanesi e 11 militanti islamici sono rimasti uccisi dopo un assedio durato
10 ore a Tripoli, nel nord del Paese. Gli scontri tra i soldati dell’esercito regolare
e gli estremisti islamici sono andati avanti tutta la notte provocando la morte di
altre tre persone: un poliziotto, la sua giovane figlia e un parente che vivevano
nello stabile dove i militanti si sono barricati. L'assedio, come riferisce l’agenzia
Reuter, è cominciato poco prima di mezzanotte, ed è legato all'operazione in corso
da oltre un mese in un campo di profughi palestinesi, quello di Nahr al-Bared, che
si trova a poca distanza da Tripoli, seconda città del Libano. Nel campo profughi
sono asserragliati i militanti del gruppo islamico Fatah al-Islam.
- Fa discutere
il compromesso raggiunto al Consiglio europeo di Bruxelles, dopo un negoziato molto
faticoso. Sarà dunque la conferenza intergovernativa che si svolgerà ad ottobre a
varare il nuovo trattato di riforma delle istituzioni, che sarà poi sottoposto alle
ratifiche nazionali. Rinviata l’entrata in vigore del nuovo sistema di voto a maggioranza
qualificata dal 2009 al 2014, con un periodo di transizione di tre anni fino al 2017.
Un'intesa che ha evitato una pericolosa fase di stallo, ma che ha messo definitivamente
in chiaro visioni di fondo divergenti sul concetto di Europa. Servizio di Giampiero
Guadagni.
Il più
critico e amareggiato è il premier italiano ed ex presidente della Commissione europea
Romano Prodi. Molti Paesi, ha detto, hanno perduto lo spirito di lavoro comune, anzi
hanno proprio perduto lo spirito europeo. Prodi parla di frenatori, leader che sono
arrivati a Bruxelles con l’intento scientifico di non arrivare ad una intesa
piena. Prodi fa soprattutto riferimento al Regno Unito e al premier Tony Blair, al
suo ultimo appuntamento europeo prima di lasciare il posto a Gordon Brown, considerato
un euroscettico ancora più marcato. Al suo primo appuntamento era invece il neo presidente
francese Sarkozy, che si è schierato dalla parte di un Trattato semplificato rispetto
alla Costituzione del 2004, e ha fatto riemergere la natura protezionistica della
politica francese rispetto alle esigenze della concorrenza e della globalizzazione.
Ma il negoziato ha rischiato di fallire soprattutto per la posizione della Polonia,
il più grande Paese dell’est membro dell’Unione Europea. I gemelli Kaczynski, il presidente
Lech e il premier Jaroslaw, si sono opposti al nuovo sistema di voto. A sbloccare
la situazione l’intervento del cancelliere tedesco Angela Merkel, presidente di turno
dell’Unione europea, che ha minacciato di andare avanti senza Varsavia. Alla fine
il compromesso, in base al quale l’entrata in vigore del sistema a maggioranza qualificata
viene rinviata dal 2009 al 2014 ma entrerà a pieno regime solo nel 2017. Dunque,
l’Europa in qualche modo riparte dopo lo stallo di due anni determinato dai no francese
e olandese al referendum sulla Costituzione europea. Ma la ripartenza è lenta e ripropone
le difficoltà di tenere insieme un'Unione che procede a velocità diverse. L'obiettivo
della Conferenza intergovernativa, in ottobre sotto la presidenza di turno portoghese,
è che l'Europa abbia istituzioni più forti a partire dal 2009, prima cioè delle prossime
elezioni del Parlamento europeo.l
- Seggi aperti, oggi, nel Congo-Brazaville
per il primo turno delle elezioni legislative per il rinnovo di 137 seggi dell’Assemblea
Nazionale. L’appuntamento elettorale rappresenta un passaggio decisivo per questo
Paese che versa in una delle condizioni socio-economiche più drammatiche del continente
africano: i 2milioni e mezzo di abitanti hanno una speranza di vita di poco più di
50 anni. Il servizio di Giulio Albanese.
Fonti
della società civile riferiscono che vengono segnalati ritardi, causati dalla scarsa
organizzazione della macchina elettorale. Ancora stamani in alcune zone del Paese
non erano pervenute le schede elettorali e risultavano alcune difficoltà logistiche
non meglio precisate nella composizione delle squadre di scrutinatori, che dovrebbero
svolgere le operazioni di spoglio. Tutto questo, nonostante il presidente della Commissione
elettorale nazionale avesse assicurato che tutte le misure per garantire lo svolgimento
della Consultazione erano state studiate meticolosamente. Intanto, l’opposizione non
risparmia critiche al presidente Denis Sassou Nguesso, al potere ininterrottamente
da 10 anni, quando rovesciò il governo del suo predecessore, Pascal Lissouba. C’è
da considerare che molte delle formazioni politiche, come l’Unione Panafricana per
la democrazia sociale, contrastano l’attuale leadership al potere e hanno deciso di
disertare le urne, stigmatizzando – è quanto si apprende in un comunicato – il controllo
indiscriminato, sovversivo e antidemocratico dei seguaci di Sassou Nguesso. Da rilevare,
comunque, che il braccio politico degli ex ribelli ‘ninja’, il Consiglio nazionale
dei repubblicani, dopo aver a lungo esitato, ha invece deciso di prendere parte al
voto. E la pace con questi ex combattenti è vitale, se si considera che si tratta
di un gruppo che ha combattuto il governo centrale dal 1998 al 2003. Una guerra civile
che fece cadere l’ex colonia francese, ricca di petrolio e povera di infrastrutture
e servizi, nel baratro. (Per la Radio Vaticana, Giulio Albanese)
In Pakistan
più di 220 persone sono morte a causa delle piogge torrenziali cadute ieri ininterrottamente
per tre ore sulla città di Karachi. Lo hanno annunciato fonti ufficiali pachistane.
Ieri sera il bilancio ufficiale era di 43 morti, ma il responsabile per la Sanità
nella provincia meridionale di Sindh ha detto che varie organizzazioni di assistenza
hanno individuato altri 185 corpi di persone morte in incidenti legati alle forti
piogge causate dal monsone. (Panoramica internazionale a cura di Marco Guerra)
Bollettino
del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LI No. 175 E'
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