2007-06-23 15:22:42

In Afghanistan, più di 60 ribelli morti per un'offensiva della NATO - La Corea del Nord chiuderà il reattore di Yongbyon


In Afghanistan, decine di ribelli sono morti per un’offensiva lanciata da forze della NATO nel sudest del Paese. Il Ministero dell’interno ha reso noto, inoltre, che sono stati uccisi, dal mese di marzo, almeno 1600 ribelli. Sono stati arrestati anche 530 militanti, compresi 23 potenziali kamikaze. Le forze dell'Alleanza atlantica hanno annunciato, intanto, l’apertura di un’inchiesta sul raid condotto la scorsa notte e costato la vita anche a diversi civili. Il nostro servizio:


La NATO ha definito “un errore” il bombardamento avvenuto la notte scorsa nel sud del Paese, dove da giorni è in corso un'offensiva delle forze della coalizione. L’offensiva ha provocato la morte di 20 insorti ma anche di 25 civili, tra cui 12 membri di una famiglia. L’episodio è stato fermamente condannato dal presidente afghano, Hamid Karzai, secondo cui sono morti, nel sud del Paese, almeno 50 civili negli ultimi tre giorni. Alcuni alti ufficiali hanno anche espresso il loro “profondo rincrescimento” nel corso di un incontro con i capi tribali afghani. Il segretario generale della NATO, Jaap de Hoop Scheffer, ha chiesto inoltre l’apertura di un'inchiesta. In base alle prime ricostruzioni, i soldati dell’Alleanza atlantica avrebbero risposto ad un attacco dei talebani asserragliati in alcuni edifici. Si teme che i talebani abbiano usato alcuni civili come scudi umani. “Il rischio cui sono stati esposti - sottolineano infatti fonti della NATO - era probabilmente deliberato”. Il numero dei civili vittime di cosiddetti danni "collaterali" della guerra è in costante aumento in Afghanistan: si stima che dall’inizio dell’anno siano più di 260 quelli morti a causa di scontri e bombardamenti. Nel sud est dell’Afghanistan, intanto, una serie di attacchi aerei e terrestri sferrati da forze dell’Alleanza Atlantica, ha provocato la morte di almeno 60 presunti talebani.

- In Iraq, prosegue l’offensiva americana a nord di Baghdad: l’ultimo attacco, condotto con l’appoggio dell’aviazione, ha provocato la morte di 17 ribelli. Nella capitale, due poliziotti sono rimasti uccisi per l'esplosione di una bomba. Continua poi a salire il numero di morti tra i soldati americani: nelle ultime 24 ore, sono rimasti uccisi almeno 14 militari statunitensi, a causa di attentati e agguati compiuti in varie zone del Paese. Il nostro servizio:RealAudioMP3


La più vasta operazione militare statunitense dal 2003 ha ormai le caratteristiche di una guerra: teatro del conflitto è l’area sunnita di Baquba, dove migliaia di soldati americani stanno cercando di scovare centinaia di militanti di Al Qaeda. Molti di questi ribelli provengono da Baghdad, dove il piano di sicurezza statunitense avviato più di tre mesi fa sembra aver inflitto duri colpi all’organizzazione terroristica. La guerra, sempre più drammatica in Iraq e impopolare negli Stati Uniti, potrebbe comunque avere importanti sviluppi: secondo un generale statunitense, la situazione sta gradualmente migliorando e la prossima primavera l’esercito americano potrebbe cominciare a ritirare parte delle proprie truppe. L’obiettivo è di trasferire ai soldati iracheni il controllo di aree conquistate nelle ultime offensive. Ma le speranze in un futuro finalmente stabile continuano a scontrarsi con la tragica realtà che non risparmia neanche i bambini: l’UNICEF denuncia, in particolare, i gravi rischi cui sono esposti gli orfani in Iraq. Rischi drammaticamente confermati da casi di abusi compiuti in un orfanotrofio di Baghdad e documentati da immagini  trasmesse nei giorni scorsi. A Mossul, intanto, è stato sequestrato un giovane cristiano ma non mancano comunque buone notizie: ieri sono stati rilasciati e sono in buone condizione gli otto cristiani - 5 studenti e 3 professori - rapiti lo scorso 20 giugno nei pressi di Mossul. Si terrà infine il 4 luglio in piazza Santi Apostoli a Roma una manifestazione in sostegno dei cristiani perseguitati in Oriente.

 
- Proseguono gli sforzi per promuovere la pace in Medio Oriente: il presidente palestinese, Abu Mazen, si recherà in giornata ad Amman per consultazioni con il re Abdallah II di Giordania e con vari esponenti del governo. L’obiettivo dell’incontro è di preparare il vertice regionale sul Medio Oriente che si terrà lunedì prossimo a Sharm al-Sheikh, in Egitto. Martedì prossimo, poi, Abu Mazen incontrerà le delegazioni del cosiddetto "quartetto" formato da Stati Uniti, Russia, ONU e Unione Europea. Ma cosa si potrebbe fare per dare stabilità al Medio Oriente? Luca Collodi lo ha chiesto a Janiki Cingoli, direttore del Centro italiano per la pace in Medio Oriente: RealAudioMP3


R. - Io ritengo che, in questa fase, quello che deve essere fatto sia prendere in parola Olmert. Il premier israeliano diceva che se ci fosse stato un governo palestinese attendibile e privo di componenti di Hamas avrebbe sicuramente accettato di trattare e di avviare anche una discussione profonda sul negoziato finale. Ora, da questo punto di vista, gli ostacoli sono finiti e quindi è necessario a questo punto procedere rapidamente adottando misure per stabilire la fiducia. E’ necessario anche non pensare che la situazione a Gaza possa essere affrontata come se si trattasse di termiti, per cui l’unica questione sia quella di sigillare i confini. Non possono, un milione mezzo di palestinesi, essere abbandonati a loro stessi: c’è un problema umanitario di proporzioni gigantesche. L’ultimo aspetto - forse il più importante - è l’accelerazione sul negoziato finale. Se non si riesce a procedere rapidamente sul negoziato e sui punti fondamentali - cioè su Gerusalemme e sullo Stato palestinese, sulla questione dei rifugiati - è difficile che si possa dare un orizzonte politico, in grado di ricomporre la situazione interna palestinese.

- Stati Uniti e Corea del Nord hanno raggiunto un'intesa che prevede entro tre settimane la chiusura del reattore nucleare di Yongbyon, il principale del Paese asiatico. Lo ha annunciato Christopher Hill, negoziatore americano sul programma atomico nordcoreano. La chiusura del reattore atomico di Yongbyon era una delle condizioni dell’accordo, raggiunto lo scorso febbraio a Pechino, dalle delegazioni dei sei Paesi che partecipano ai negoziati. In cambio, erano stati promessi alla Corea del Nord aiuti umanitari e finanziari. Il dialogo sullo smantellamento nucleare nordcoreano era però stato sospeso in seguito al congelamento, da parte statunitense, di 25 milioni di dollari, in una Banca di Macao. (Panoramica internazionale a cura di Amedeo Lomonaco)

  Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LI No. 174

 
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