In Afghanistan, più di 60 ribelli morti per un'offensiva della NATO - La Corea del
Nord chiuderà il reattore di Yongbyon
In Afghanistan, decine di ribelli sono morti per un’offensiva lanciata da forze della
NATO nel sudest del Paese. Il Ministero dell’interno ha reso noto, inoltre, che sono
stati uccisi, dal mese di marzo, almeno 1600 ribelli. Sono stati arrestati anche 530
militanti, compresi 23 potenziali kamikaze. Le forze dell'Alleanza atlantica hanno
annunciato, intanto, l’apertura di un’inchiesta sul raid condotto la scorsa notte
e costato la vita anche a diversi civili. Il nostro servizio:
La NATO
ha definito “un errore” il bombardamento avvenuto la notte scorsa nel sud del Paese,
dove da giorni è in corso un'offensiva delle forze della coalizione. L’offensiva ha
provocato la morte di 20 insorti ma anche di 25 civili, tra cui 12 membri di una famiglia.
L’episodio è stato fermamente condannato dal presidente afghano, Hamid Karzai, secondo
cui sono morti, nel sud del Paese, almeno 50 civili negli ultimi tre giorni. Alcuni
alti ufficiali hanno anche espresso il loro “profondo rincrescimento” nel corso di
un incontro con i capi tribali afghani. Il segretario generale della NATO,
Jaap de Hoop Scheffer, ha chiesto inoltre l’apertura di un'inchiesta. In base alle
prime ricostruzioni, i soldati dell’Alleanza atlantica avrebbero risposto ad un attacco
dei talebani asserragliati in alcuni edifici. Si teme che i talebani abbiano usato
alcuni civili come scudi umani. “Il rischio cui sono stati esposti - sottolineano
infatti fonti della NATO - era probabilmente deliberato”. Il numero dei civili vittime
di cosiddetti danni "collaterali" della guerra è in costante aumento in Afghanistan:
si stima che dall’inizio dell’anno siano più di 260 quelli morti a causa di scontri
e bombardamenti. Nel sud est dell’Afghanistan, intanto, una serie di attacchi aerei
e terrestri sferrati da forze dell’Alleanza Atlantica, ha provocato la morte di almeno
60 presunti talebani.
- In Iraq, prosegue l’offensiva americana a nord
di Baghdad: l’ultimo attacco, condotto con l’appoggio dell’aviazione, ha provocato
la morte di 17 ribelli. Nella capitale, due poliziotti sono rimasti uccisi per l'esplosione
di una bomba. Continua poi a salire il numero di morti tra i soldati americani: nelle
ultime 24 ore, sono rimasti uccisi almeno 14 militari statunitensi, a causa di attentati
e agguati compiuti in varie zone del Paese. Il nostro servizio:
La
più vasta operazione militare statunitense dal 2003 ha ormai le caratteristiche di
una guerra: teatro del conflitto è l’area sunnita di Baquba, dove migliaia di soldati
americani stanno cercando di scovare centinaia di militanti di Al Qaeda. Molti di
questi ribelli provengono da Baghdad, dove il piano di sicurezza statunitense avviato
più di tre mesi fa sembra aver inflitto duri colpi all’organizzazione terroristica.
La guerra, sempre più drammatica in Iraq e impopolare negli Stati Uniti, potrebbe
comunque avere importanti sviluppi: secondo un generale statunitense, la situazione
sta gradualmente migliorando e la prossima primavera l’esercito americano potrebbe
cominciare a ritirare parte delle proprie truppe. L’obiettivo è di trasferire
ai soldati iracheni il controllo di aree conquistate nelle ultime offensive. Ma le
speranze in un futuro finalmente stabile continuano a scontrarsi con la tragica realtà
che non risparmia neanche i bambini: l’UNICEF denuncia, in particolare, i gravi
rischi cui sono esposti gli orfani in Iraq. Rischi drammaticamente confermati da casi
di abusi compiuti in un orfanotrofio di Baghdad e documentati da immagini trasmesse
nei giorni scorsi. A Mossul, intanto, è stato sequestrato un giovane cristiano ma
non mancano comunque buone notizie: ieri sono stati rilasciati e sono in buone
condizione gli otto cristiani - 5 studenti e 3 professori - rapiti lo scorso 20 giugno
nei pressi di Mossul. Si terrà infine il 4 luglio in piazza Santi Apostoli
a Roma una manifestazione in sostegno dei cristiani perseguitati in Oriente.
-
Proseguono gli sforzi per promuovere la pace in Medio Oriente: il presidente palestinese,
Abu Mazen, si recherà in giornata ad Amman per consultazioni con il re Abdallah II
di Giordania e con vari esponenti del governo. L’obiettivo dell’incontro è di preparare
il vertice regionale sul Medio Oriente che si terrà lunedì prossimo a Sharm al-Sheikh,
in Egitto. Martedì prossimo, poi, Abu Mazen incontrerà le delegazioni del cosiddetto
"quartetto" formato da Stati Uniti, Russia, ONU e Unione Europea. Ma cosa si potrebbe
fare per dare stabilità al Medio Oriente? Luca Collodi lo ha chiesto a Janiki
Cingoli, direttore del Centro italiano per la pace in Medio Oriente:
R.
- Io ritengo che, in questa fase, quello che deve essere fatto sia prendere in parola
Olmert. Il premier israeliano diceva che se ci fosse stato un governo palestinese
attendibile e privo di componenti di Hamas avrebbe sicuramente accettato di trattare
e di avviare anche una discussione profonda sul negoziato finale. Ora, da questo punto
di vista, gli ostacoli sono finiti e quindi è necessario a questo punto procedere
rapidamente adottando misure per stabilire la fiducia. E’ necessario anche non pensare
che la situazione a Gaza possa essere affrontata come se si trattasse di termiti,
per cui l’unica questione sia quella di sigillare i confini. Non possono, un milione
mezzo di palestinesi, essere abbandonati a loro stessi: c’è un problema umanitario
di proporzioni gigantesche. L’ultimo aspetto - forse il più importante - è l’accelerazione
sul negoziato finale. Se non si riesce a procedere rapidamente sul negoziato e sui
punti fondamentali - cioè su Gerusalemme e sullo Stato palestinese, sulla questione
dei rifugiati - è difficile che si possa dare un orizzonte politico, in grado di
ricomporre la situazione interna palestinese.
- Stati Uniti e Corea del
Nord hanno raggiunto un'intesa che prevede entro tre settimane la chiusura del reattore
nucleare di Yongbyon, il principale del Paese asiatico. Lo ha annunciato Christopher
Hill, negoziatore americano sul programma atomico nordcoreano. La chiusura del reattore
atomico di Yongbyon era una delle condizioni dell’accordo, raggiunto lo scorso febbraio
a Pechino, dalle delegazioni dei sei Paesi che partecipano ai negoziati. In cambio,
erano stati promessi alla Corea del Nord aiuti umanitari e finanziari. Il dialogo
sullo smantellamento nucleare nordcoreano era però stato sospeso in seguito al congelamento,
da parte statunitense, di 25 milioni di dollari, in una Banca di Macao. (Panoramica
internazionale a cura di Amedeo Lomonaco) Bollettino
del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LI No. 174 E'
possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del
Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sulla home page del
sito www.radiovaticana.org/italiano