In Iraq prosegue l’offensiva americana contro militanti di Al Qaeda: secondo fonti
militari statunitensi sono rimasti uccisi almeno 30 ribelli nei pressi di Baquba,
a nord di Baghdad. E’ salito inoltre ad almeno 87 morti il bilancio dell’attentato
di ieri nella capitale irachena contro una moschea sciita. Ha incassato, intanto,
una nuova bocciatura, il piano di una zona autonoma assira in Iraq. Mons. Shlemon
Warduni, vescovo ausiliare di Baghdad, all’Agenzia Sir ha parlato di “progetto non
idoneo”. Il piano prevede che i cristiani trovino rifugio nella piana di Ninive, zona
ai confini con la regione semiautonoma del Kurdistan, che di fatto diverrebbe una
enclave cristiana. “Vivendo a contatto con i nostri fratelli musulmani – ha aggiunto
mons. Warduni - potremo dare la nostra testimonianza di vita”. Stessa posizione è
stata espressa da mons. Louis Sako, vescovo caldeo di Kirkuk. Il presule sottolinea
come le speranze della comunità cristiana in Iraq siano tutte orientate al dialogo
e al pluralismo. Ma sentiamo proprio mons. Louis Sako, nell’intervista di Salvatore
Sabatino:
R.
– Abbiamo vissuto sempre insieme con gli altri. La storia irachena è mista: ci sono
cristiani, musulmani, caldei, curdi, arabi. Ci sono musulmani moderati e sono senz’altro
la maggioranza. Anche in Medio Oriente, questo fondamentalismo crede che non ci sia
altra soluzione se non quella di creare Stati musulmani. E questo perché, in realtà,
loro non sono capaci di integrarsi in una società moderna caratterizzata dal pluralismo.
E’ meglio allora appoggiare questi musulmani moderati, che sono bravi e vogliono anche
il dialogo, una convivenza pacifica. Anche l’Occidente deve chiedere a questi Stati
di fare in modo di rispettare i diritti umani. Questa è l’unica soluzione. Creare,
quindi, delle aree per piccoli gruppi è una cosa inaccettabile.
D. – Cosa
può fare la comunità cristiana per incoraggiare la cultura del pluralismo, di cui
lei parla?
R. – Io credo – ed è quello che ho sempre chiesto – che sia necessario
fare una riunione dell’assemblea dei vescovi cattolici, insieme anche ai vescovi ortodossi,
convocando esperti cristiani e non, per cercare di preparare un documento ben equilibrato
e, quindi, presentarlo in modo tale da avere un discorso politico ben preparato, che
rappresenti tutti e che salvi il mosaico iracheno.
D. – Come vede il futuro
della comunità cristiana in Iraq? Come la immagina nel prossimo futuro?
R.
– Sinceramente nel corso della nostra storia, abbiamo avuto problemi. Siamo una Chiesa
martire. Questo è un po’ il nostro carisma. Abbiamo, però, trovato anche modi per
vivere insieme. Tocca a noi aprire le braccia, cercando un dialogo con tutti i gruppi.
E questo per cercare di salvare la nostra esistenza.
- In Turchia, intanto,
il primo ministro Tayyip Erdogan ha dichiarato ieri che il governo di Ankara è pronto
ad autorizzare, in caso di necessità, operazioni militari nel Kurdistan iracheno contro
ribelli del partito comunista turco (PKK). Secondo diversi osservatori, i separatisti
curdi iracheni avrebbero condotto diverse azioni terroristiche in Turchia. Ed è sempre
più intricata, poi, la questione dello status di Kirkuk che dovrà essere definito,
in futuro, con un referendum. Con la consultazione si deciderà l’eventuale autonomia
della ricca città petrolifera del Kurdistan. Il governo di Ankara teme che una regione
curda autonoma in Iraq possa innescare nuove mire indipendentiste anche in Turchia.