Iraq: attentato contro la moschea sciita di Samarra
E’ stato decretato il coprifuoco a Samarra, a nord di Baghdad, dopo l’attentato che
stamani ha colpito la moschea sciita della città, provocando la distruzione di due
minareti. Uditi anche alcuni colpi di mortaio. Le autorità temono pesanti disordini,
dopo che nel febbraio del 2006 un altro attentato alla stessa moschea diede di fatto
il via ad una sanguinosa campagna di violenze interconfessionali, tra sciiti e sunniti,
con ripercussioni in tutta la regione. Appelli alla calma sono giunti dall’ayatollah
Ali Al Sistani e dal portavoce del leader radicale sciita Moqtada al Sadr. Ma perché
colpire nuovamente la moschea di Samarra? Risponde Lorenzo Cremonesi, inviato in Medio
Oriente del "Corriere della Sera", intervistato da Giada Aquilino:
R. – Samarra
è un simbolo, è una importantissima moschea, paragonabile addirittura a quelle di
Najaf e Kerbala, ed è una moschea sciita nel cuore di una zona sunnita. Non dimentichiamo
che convenzionalmente l’inizio del precipitare della guerra civile, nel febbraio 2006,
è stato considerato proprio l’altro gravissimo attentato che devastò completamente
la stessa moschea, già ricostruita - tra l’altro anche grazie ad aiuti americani -
negli ultimi 12 mesi. L’attacco di oggi è quindi una prova del continuo deteriorarsi
della situazione in Iraq. Ormai gli stessi comandi americani – tra i denti – ammettono
che il nuovo piano per la sicurezza Al Maliki-Bush, messo in pratica nell’area di
Baghdad da gennaio-febbraio di quest’anno, non funziona. L’attentato odierno, direi,
che sia da imputare ancora una volta ai gruppi estremisti dell’area sunnita legati
ad Al Qaeda, come era successo – peraltro – per quello precedente. Ciò dà valore,
ancora di più, alla necessità di colloqui tra Iran, Iraq, Siria e Stati Uniti, per
cercare insieme e collettivamente di pacificare l’area, come si è cominciato a fare
nelle scorse settimane a Sharm el Sheikh.
D. – Quali rischi comporta l’aggravarsi
delle tensioni interconfessionali tra sciiti e sanniti?
R. – Il rischio è che
il conflitto si allarghi. In questo momento mi trovo in Libano. Sono in corso scontri
nei campi profughi palestinesi, con le milizie sunnite legate ad Al Qaeda, anche se
bisogna precisare che più che di palestinesi, si tratta di miliziani che arrivano
dall’estero (come algerini, afghani, pakistani). Ecco, proprio qui si può comprendere
il senso della paura che il conflitto interconfessionale iracheno si estenda a tutta
la regione.