2007-06-08 14:39:44

La Chiesa in Iraq respinge il progetto della Piana di Ninive, in cui si vorrebbero concentrare i cristiani del Paese. Mons. Sako: "La Chiesa non è un ghetto"


In Iraq, sono sempre più drammatiche le condizioni di vita cui è costretta la comunità cristiana, ridottasi da oltre mezzo milione di persone, nel 2003, a poco più di ventimila. Ora un discusso progetto politico prevede la creazione di un’area autonoma nella Piana di Ninive, dove concentrare quel che rimane dei cristiani iracheni. Un tentativo di isolamento della Chiesa irachena denunciato con forza da mons. Louis Sako, arcivescovo di Kirkuk, e respinto anche dal segretario di Stato Vaticano, card. Tarcisio Bertone, come volontà di ghettizzazione. Proprio sui problemi dei cristiani in Iraq, ascoltiamo Don Fabio Corazzina, coordinatore Pax Christi Italia. L’intervista è di Stefano Leszczynski: RealAudioMP3


R. - E’ il problema quotidiano che vive la gente, la popolazione dell’Iraq: le violenze di ogni giorno, l’impossibilità di una normalità di vita, i rapimenti a scopo di estorsione, i ricatti, le uccisioni, le imposizioni di tipo religioso fondamentalista rendono la vita per i cristiani assolutamente impossibile.

 
D. - Da un po’ di tempo, si è cominciato a parlare di vera e propria persecuzione dei cristiani in Iraq. Tra l’altro, c’è anche un discusso progetto politico per concentrare quello che rimane della comunità cristiana irachena in una determinata zona del Paese. Di cosa si tratta?

 
R. - Il problema non è solo quello della persecuzione dei cristiani: è il popolo iracheno che è perseguitato e subisce costantemente le violenze. I cristiani naturalmente vivono la vita e condividono il quotidiano di questo popolo. C’è poi questa teoria, questa ipotesi del cosiddetto progetto della Piana di Ninive: nella Piana di Ninive sono presenti una serie di villaggi cristiani e la maggior parte dei villaggi cristiani dell’Iraq si trovano all’interno di questa Piana, circa una ventina. E’ un centro culturale, commerciale, ecclesiastico, circondato da villaggi arabi e vi abitano circa 120 mila cristiani. L’idea è quella di concentrare lì la presenza dei cristiani in Iraq, facendo una sorte di enclave, un gruppo, un realtà, un territorio in cui probabilmente - secondo alcuni cristiani e non soltanto secondo alcuni cristiani - ci si sentirebbe più protetti.

 
D. - Tuttavia, questo progetto snaturerebbe completamente quella che è la storia dei cristiani iracheni e del cristianesimo in Iraq...

 
R. - Evidentemente, questa sarebbe la tragedia più grande, perché se per essere sicuri ci immaginiamo di dover fare una divisione etnica del territorio, allora questo tipo di tragedia non l'abbiamo vissuta soltanto nei Balcani, ma la stiamo vivendo anche in Medio Oriente, in Palestina e in Israele e a questo punto viene anche riprodotta e riproposta anche nel territorio dell’Iraq. Gli amici, soprattutto mons. Louis Sako, che abbiamo sentito direttamente e che ho sentito anche questa mattina, diceva in termini molto chiari: “La nostra Chiesa in Iraq non è mai stata nazionalista e chiusa in senso etnico”. Ecco perché noi non possiamo chiuderci in un ghetto e questo significa chiaramente dover lavorare per la riconciliazione del popolo iracheno, collaborando con tutte le autorità religiose, con i partiti. Dialogo, riconciliazione, spinta verso la cultura della pace: questa è la missione dei cristiani e non certo quella di rinchiudersi per sentirsi più sicuri.







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