Gioia e commozione in Africa per l'appello lanciato ieri dal Papa al G8 a non dimenticare
le promesse di aiuto al Continente
L'appello al Vertice del G8 lanciato ieri dal Papa durante l'udienza generale ha commosso
tutta l'Africa. Benedetto XVI ha invitato i leader dei Paesi più industrializzati
del mondo, riuniti in Germania, a mantenere le promesse di aumentare "l'aiuto allo
sviluppo in favore delle popolazioni più bisognose, soprattutto quelle del Continente
africano", un Continente che porta "nel cuore", come ha affermato più volte. Ascoltiamo
in proposito la testimonianza di don Luca Treglia, salesiano e direttore di
Radio Don Bosco in Madagascar, al microfono di Gabriella Ceraso:
R.
- Per noi questo è un appello molto, molto importante, perché non solamente fa vedere
la preoccupazione del Papa verso il Continente africano per la povertà, ma fa vedere
anche la preoccupazione delle Chiese locali, in questo caso della Chiesa malgascia,
che si trovano a lavorare in queste zone povere. E diventa anche una speranza, perché
si sa che quando ci sono questi appelli di un certo livello, ci sono anche dei risultati,
soprattutto per quanto riguarda gli aiuti allo sviluppo. Il Papa invita le Nazioni
più ricche ad essere più aperte, perché in questi Stati si possa avere una vita degna
di essere chiamata “vita umana”. Però, io direi che gli aiuti allo sviluppo non sono
sufficienti se innanzitutto non si levano tutti quei debiti che questi Stati hanno
verso gli Stati più sviluppati: quindi bisogna ripartire da zero. E poi, bisogna educare
a ben gestire questi aiuti ...
D. – Il Papa ha parlato
di una educazione primaria come elemento fondante per lo sviluppo di un Paese: cosa
ne pensa?
R. – Io lo condivido pienamente. Ho una
piccola esperienza: ero responsabile delle scuole di campagna e passavo giornate intere
a spiegare ai genitori l’importanza di mandare i figli a scuola. Dicevo loro: "voi
coltivate il mais, però non sapete né leggere né scrivere; poi arriva quello che deve
comprare il mais, voi non sapete fare i calcoli e non sapete se il peso del mais che
è sulla bilancia è giusto”. Il problema della scuola primaria è un problema molto
importante. In Madagascar, ultimamente c’è stato uno sforzo, però ancora sono molti
i bambini che non possono andare a scuola perché o mancano di strutture o perché le
scuole stesse non funzionano.
D. – Come è vissuto
anche da voi il rapporto con i Paesi che sono più avanzati?
R.
– A volte c’è un clima di amarezza, perché gli aiuti che vengono sono non un aiuto
concreto, cioè un dare per aiutare e basta.. Sotto sotto ci sono delle condizioni:
un interesse per le materie prime, oppure delle pressioni sulla vita pubblica, sulla
vita politica ...
D. – Quali sono le cose che vi
fanno sperare?
R. – Questa speranza la si tocca ogni
giorno, soprattutto per noi missionari che siamo a contatto con la gente, una speranza
di poter migliorare. Però, ci si trova sempre davanti alle barriere della povertà.
Ultimamente, per esempio, i vescovi hanno denunciato che il Madagascar è passato dalla
povertà alla miseria. Però, rimane sempre questa speranza. Magari non viene dai grossi
Stati che aiutano: spesso questa speranza vive sulle piccole cose, sui piccoli benefattori
che capiscono il problema e che sono disponibili ad aiutare. Direi che sono più pronti
ad aiutare i missionari direttamente che non le grandi organizzazioni, perché sanno
che se passano attraverso le organizzazioni, una parte di quello che è donato va persa.