La chiusura in Venezuela di “Radio Caracas Television”, decisa dal governo, solleva
aspre proteste ed apre il dibattito sulla libertà di stampa
Vibrate proteste in Venezuela e ripercussioni anche internazionali per la chiusura
definitiva stamane dell’emittente radiotelevisiva privata “Radio Caracas Television”,
cui il governo ha negato il rinnovo della concessione. Il servizio di Roberta Gisotti:
Dopo
53 anni, alle 6.01 ora italiana, la popolare RcTv, “Radio Caracas Television” ha sospeso
le sue trasmissioni sostituita dalla nuova TV di Servizio pubblico, TVes ovvero “Televisione
venezuelana sociale”, voluta dal presidente Hugo Chavez, che ha inaugurato i suoi
programmi con l’inno nazionale “Gloria al Bravo Pueblo”. Cinque mesi fa lo stesso
capo di Stato aveva annunciato il clamoroso provvedimento, ed ora il Governo si difende
dagli attacchi di aver voluto censurare “Radio Caracas Television” per ragioni politiche,
affermando per voce del ministro della Comunicazione, William Lara che si è trattato
di “una decisione sovrana” “espressione delle leggi venezuelane”, per cui “è sbagliato
parlare di una chiusura d’autorità”. Ha replicato Marcel Granier, direttore dell’emittente
con i maggiori ascolti nel Paese, che il presidente Chavez cosi “coltiva il terrore
e stimola l’autocensura”, avendo intrapreso un cammino “molto pericoloso nella direzione
di un maggior autoritarismo e concentrazione dei poteri”. Un chiaro monito governativo
a tutta la stampa, secondo i sostenitori di “Radio Caracas Television”, dentro e fuori
i confini del Venezuela. Accese proteste e manifestazioni di strada hanno accompagnato
il fine settimana nella capitale, e scontri tra manifestanti e polizia si sono avuti
ieri sera davanti la sede della Commissione nazionale delle comunicazioni, con un
bilancio di 11 agenti feriti. Intanto monta il dibattito internazionale sulla libertà
d’espressione. A tale proposito si ricorda la recente raccomandazione dell’episcopato
venezuelano: “In un Paese democratico – sottolineano i vescovi - ai mezzi di comunicazione
sociale va garantita la maggiore libertà possibile poiché la libertà di espressione
è fondamentale per il corretto funzionamento di un sistema democratico”.
Dunque,
quale significato dare alla presa di posizione del presidente Chavez nei confronti
di "Radio Caracas Television" e quali possibili effetti interni ed esteri? Stefano
Leszczynski lo ha chiesto a Roberto Da Rin, esperto di questioni latinoamericane
de "Il Sole 24 Ore":
R. –
Non è mai bello chiudere un canale televisivo o limitare la libertà di stampa di un
giornale o di un altro mezzo, questo a nessuna latitudine e a maggior ragione in Venezuela,
in un momento in cui il presidente Hugo Chavez ha mostrato i muscoli più di una volta
negli ultimi anni. Direi, però, che la chiusura di questo canale televisivo storico
si inquadra invece in un piano del governo venezuelano che è lucidissimo. Che poi,
naturalmente, sia molto contestabile, è un fatto; ma prevede alcune tappe che vanno
tutte nella stessa direzione, e cioè la riorganizzazione del Paese.
D.
– Questo disegno socialista e statalista di riordino dello Stato, non rischia – alla
lunga – di essere controproducente?
R. – Il gioco
delle nazionalizzazioni può essere pericoloso, certo. Nessuno sa dire esattamente
quanto il Paese sia effettivamente migliorato in termini di strutture economiche,
di infrastrutture, depurato dall’aumento dei prezzi del petrolio che ha favorito gli
ingressi in valuta del Venezuela. In altre parole: è difficile dire se Chavez in qualche
modo stia in piedi perché distribuisce le risorse che gli vengono dal petrolio.
D.
– Le manifestazioni che si sono verificate in seguito alla chiusura di questo canale
televisivo, si possono considerare quindi come un fatto marginale, passeggero o potrebbero
essere una spia d’allarme di una opposizione crescente?
R.
– Non sono un fatto passeggero, perché ormai dal 2002 ad oggi, le manifestazioni sono
all’ordine del giorno: pro-Chavez o anti-Chavez. Ma alle elezioni, Chavez fino ad
ora, in un modo o nell’altro, è riuscito a mobilitare tutti i poveri che non hanno
mai votato nelle favelas venezuelane, portando a casa sempre dei risultati elettorali
indiscutibili, secondo la comunità internazionale. L’opposizione, fino ad ora, ha
fatto delle grandi manifestazioni in piazza ma non ha mai saputo coagularsi attorno
ad un candidato credibile che poi riuscisse a contrastare davvero questa ondata di
nazionalismo.