Quindici anni fa, il 23 maggio del 1992, si compiva la strage di Capaci, in Sicilia,
in cui veniva assassinato il giudice Giovanni Falcone, insieme con la moglie e tre
agenti della scorta. Due mesi, dopo il 19 luglio, un altro efferato attentato poneva
fine alla vita di un altro magistrato, Paolo Borsellino, e di cinque agenti della
scorta. “La loro lezione di libertà e democrazia” è stata al centro della commemorazione,
stamane a Palermo, nell’aula-bunker dell’Ucciardone, luogo simbolo della lotta alla
mafia, dove nel 1986 si è celebrato il più grande processo contro "Cosa nostra". Presenti
le autorità dello Stato insieme con i parenti delle vittime, studenti e insegnanti
giunti da tutta Italia per raccogliere l’eredità di Falcone e Borsellino e affermare
la cultura della legalità e della non violenza. Il servizio di Alessandra Zaffiro:
“Ci sono
tanti indizi che portano alla pista dei cosiddetti mandanti occulti. L'Italia aspetta
sempre di sapere quali furono i gruppi di affari che ebbero una convergenza di interessi
con Cosa nostra nelle stragi del ‘92”. Così Maria Falcone, nel 15.mo anniversario
della strage di Capaci, torna sui mandanti occulti che organizzarono la stagione stragista
di Cosa nostra. A ricordare tutte le vittime, gli eroi morti nelle stragi del ’92
sono stati 2.500 studenti, 1.200 dei quali sbarcati oggi a Palermo con la “nave della
legalità” e riuniti nell’aula-bunker del carcere Ucciardone per discutere della lotta
a "Cosa nostra". “La scuola oggi trasmette una testimonianza concreta di educazione
alla cultura della legalità - ha dichiarato il ministro dell’Istruzione, Giuseppe
Fioroni, intervenendo all’incontro - la testimonianza del rispetto delle regole, per
dire ai nostri ragazzi che chi fa bene è premiato e chi fa male è punito”. “La mafia
è diversa oggi da com’era quando la combatteva Falcone - ha affermato il ministro
dell’Interno, Giuliano Amato - però è quella che lui aveva capito: cioè la mafia che
stava passando dal taglieggiamento degli altri al lavoro in proprio nell’economia.
L’importanza di questa giornata - ha concluso Amato - è rendere i giovani partecipi
di questo clima di dignità civile che è la prima premessa per combattere la mafia”.
Il presidente del Senato, Franco Marini, ha ricordato in particolare i giudici Falcone
e Borsellino: “Due persone straordinarie per la storia del nostro Paese, due esempi
di amore per la nostra Repubblica e di rispetto della legalità”. “A Palermo c’è sicuramente
una maggiore consapevolezza, ma sarebbe stupido dire che i problemi siano stati risolti",
ha detto il procuratore nazionale antimafia, Piero Grasso. "Bisogna sforzarsi di continuare
perché l’esperienza insegna che non bisogna mai abbassare la guardia”.
Il
prezioso lavoro dei pool antimafia ha permesso allo Stato di infliggere duri colpi
al potere di Cosa nostra, arrestandone alcuni capi, come Bernardo Provenzano, catturato
nel 2006 e tra i mandanti dello stesso omicidio Falcone. Tra i magistrati che hanno
coordinato le indagini che hanno portato all’arresto del noto "boss dei boss", il
procuratore della Direzione distrettuale di Palermo, Michele Prestipino. Francesca
Sabatinelli lo ha intervistato:
R. - L’arresto
di un capo dello spessore di Bernardo Provenzano costituisce una grave perdita per
un’organizzazione come "Cosa nostra", il che non vuol dire che la mafia sia finita,
ma che "Cosa Nostra" deve affrontare il problema. E’ difficile in questo momento pensare
ad un capo che si imponga anche sugli altri con il riconoscimento di tutti gli altri.
E’ più immaginabile un tipo di direzione che metta d’accordo tutti e che si affidi
al dialogo, al rispetto reciproco tra le varie componenti dell’organizzazione. Questo,
più o meno, è uno dei possibili scenari.
D. - Quindi,
una sorta di "pax mafiosa" che in qualche modo renda le cose più difficili nell’azione
di contrasto…
R. - Dopo gli anni delle stragi, la
strategia che Bernardo Provenzano ha affermato dentro "Cosa nostra" è stata quella
senz’altro di una sostanziale pax mafiosa. Questa scelta, nel bene e nel male, qualche
frutto per l’organizzazione mafiosa l’ha dato, anche se lo Stato ovviamente in questi
anni ha fatto sentire la sua presenza. Quindi, allo stato delle nostre conoscenze,
non c’è motivo per ipotizzare che vi sia un cambio di strategia.
D.
- Ormai, si parla da sempre degli interessi mutati della mafia. E’ così?
R.
- La mafia da quando esiste ha un solo interesse, quello di accumulare illecitamente
ricchezze. Quello che poi è mutato nel tempo è il modo nel quale si è cercato di conseguire
questo obiettivo. Ci sono tutta una serie di metodiche. Tanto più l’organizzazione
è radicata nel territorio, tanto più significa anche rapporti e relazioni con pezzi
della società, con il mondo delle professioni, della politica, delle infiltrazioni
nella pubblica amministrazione. Ma questo è il mezzo attraverso il quale poi si realizza
il fine che è l’accumulo illecito delle risorse, attraverso il controllo delle fonti
di erogazione dei denari pubblici, in particolare.