Condannato a 30 anni di reclusione il mandante dell’omicidio di suor Dorothy Stang,
uccisa in Amazzonia nel febbraio del 2005
Con una sentenza storica che in Amazzonia rompe il tabù dell'immunità, il fazendeiro
Vitalmiro Bastos de Moura è stato condannato a 30 anni di prigione per essere il mandante
dell’omicidio della suora americana, Dorothy Stang, uccisa nella località amazzonica
di Anapù nel febbraio del 2005. Cinque giurati su sette hanno deciso per la condanna:
26 anni per omicidio, più quattro per aver promesso ricompensa e protezione ai killer
assoldati, oltre all'aggravante dell’età della vittima (73 anni), e per aver tentato
di coinvolgere nell'omicidio altri latifondisti. Uno di questi, che si associò nel
progetto criminale, è ancora in attesa di giudizio, mentre i due killer erano già
stati condannati l'anno scorso a 27 e a 17 anni di reclusione. Quando venne uccisa,
suor Stang stava lavorando al ‘Progetto Speranza’, per lo sviluppo sostenibile nello
Stato brasiliano di Parà, lungo la strada ‘transamazzonica’, un'iniziativa che appoggiava
i contadini ‘Senza terra’ osteggiati dai latifondisti locali e dai trafficanti di
legname. Alla lettura della sentenza, circa 300 persone nel tribunale e altre 200
all'esterno hanno esultato e festeggiato anche con fuochi d'artificio. L'importanza
della condanna di Bastos de Moura va ben oltre il caso di suor Stang, perché rompe
la tradizione di impunità dei mandanti degli assassinii di militanti per la difesa
di diritti umani in Amazzonia. “E’ una decisione storica – ha dichiarato il coordinatore
dell’ONG Terra de Deiretos – forse solo una crepa nel muro dell'impunità nel Parà
e in Amazzonia, ma apre uno spiraglio affinché si riesca finalmente a farla finita
con l’occupazione violenta di tutta la regione”. Durante il processo, l’avvocato del
fazendeiro ha cercato di ribaltare le colpe e ha accusato la suora americana di “azioni
criminali, come l'invasione di terre altrui”, e di “essere morta in quanto vittima
della violenza che predicava”. Immediata la reazione dei presenti che lo hanno anche
fischiato. “Sono molto felice della decisione della giustizia brasiliana - ha dichiarato
il fratello della missionaria uccisa - resta però da chiarire la questione del consorzio
di latifondisti che fu messo in piedi per uccidere non solo mia sorella, ma chiunque
interferisse nello statu quo di soprusi e prevaricazioni in vigore da sempre ad Anapù”.
(A cura di Roberta Moretti)