Il dramma dei profughi iracheni in un'Europa che li respinge. Intervista con Cristopher
Hein
La condizione dei rifugiati iracheni si fa ogni giorno più allarmante e l'’Europa
non può più guardare dall’altra parte. Con questo appello il Consiglio italiano per
i rifugiati e il Network euro-mediterraneo per i diritti umani, che riunisce 82 ONG
del Mediterraneo, sono tornati a puntare i riflettori sulla situazione irachena. Gli
ultimi dati dell’Alto Commissariato dell’ONU per i rifugiati parlano ormai di quasi
due milioni di iracheni costretti a lasciare il proprio Paese. Ad accrescere la preoccupazione,
è la condizione di migliaia di rifugiati palestinesi ospitati in Iraq sotto Saddam
Hussein ed ora costretti nuovamente alla fuga. Della questione parla Christopher
Hein, direttore del Consiglio italiano per i rifugiati, intervistato da Stefano
Leszczynski:
R. -
E’ stato denunciato che l’Europa chiude le porte, almeno molti Paesi lo fanno: parliamo
anche dell’Italia, dove nelle ultime settimane sono stati respinti più di 200 cittadini
iracheni dalle coste adriatiche verso la Grecia, da dove erano partiti. E’ stato citato
il caso della Germania, dove a migliaia di rifugiati iracheni già riconosciuti in
precedenza viene ritirato il diritto d’asilo. E’ stato menzionato il caso della Svizzera,
che respinge cittadini iracheni anche richiedenti asilo, verso le regioni del nord
dell’Iraq, dove si suppone che la situazione sia più tranquilla.
D.
- Quindi, nonostante la situazione dell’Iraq, alcuni Paesi europei - se non parecchi
- ritengono l’Iraq un Paese sicuro?
R. - Almeno ritengono
parti dell’Iraq sicure e per quanto riguarda il resto considerano che prima o poi
ci sarà la condizione per un ritorno e che quindi non c’è una necessità, per esempio,
di un re-insediamento di gruppi di rifugiati iracheni in Europa.
D.
- E se la situazione non cambia per il futuro, il problema dei rifugiati iracheni
potrebbe diventare molto simile a quello che è stato ed è tuttora il problema dei
rifugiati palestinesi?
R. - Ci auguriamo veramente
di no! E’ da ricordare che la situazione dei rifugiati palestinesi si trascina dal
1948, quindi da ben più di mezzo secolo. Non vogliamo certamente prevedere che qualcosa
di simile accada con questo esodo dall’Iraq, anche se le notizie che arrivano dall’Iraq
non parlano certamente di un accenno di un miglioramento della situazione per la gente,
e quindi dobbiamo sicuramente prepararci in Europa - e non solo - ad un periodo più
lungo, anche, della necessità di dare accoglienza e protezione a queste persone, prima
di poter parlare di un loro ritorno in patria.