La tragedia continua del Darfur. La testimonianza diretta di un Comboniano, padre
Franco Moretti
I leader dei gruppi ribelli del Darfur, in Sudan, stanno cercando di definire posizioni
comuni per avviare negoziati unitari con il governo sudanese. Un primo incontro tra
le fazioni potrebbe avvenire a breve a Juba, la capitale del Sudan meridionale, proprio
mentre domani arriveranno a Khartoum l'inviato speciale dell'ONU per il Darfur, Jan
Elliasson, e quello dell'Unione Africana, Salim Ahmed Salim. Intanto, risuona a livello
planetario l’accusa di Amnesty International a Cina e Russia di continuare a dare
al Sudan armi che poi vengono usate nel conflitto. Una palese violazione, secondo
l’organizzazione umanitaria, dell'embargo sulle armi stabilito dalle Nazioni Unite.
E la conferma della drammatica situazione che si starebbe vivendo nell’area giunge
anche da padre Franco Moretti, un missionario comboniano, appena tornato dal
Darfur, che propone sull’ultimo numero della rivista Nigrizia, un interessante reportage.
Ascoltiamo la sua testimonianza, al microfono di Fabio Colagrande:
R.
- In seguito all’accordo di pace con una delle tre fazioni dei guerriglieri del Darfur,
la situazione l’insicurezza è aumentata. E questo perché, ora, non solo c’è lo scontro
tra i guerriglieri del Darfur e le forze del governo, ma anche tra le stesse fazioni
dei guerriglieri. Ciò che colpisce chi visita il Sudan oggi è il fatto che atterrando
all’aeroporto di Khartoum non si ha alcuna impressione di arrivare nella capitale
di uno Stato in guerra. Tutti sembrano ignorare quello che succede. Se si cerca, anzi,
di chiedere a qualcuno nella capitale, così come in altre città del Paese, qualche
opinione sul Darfur preferiscono non parlarne. E’ difficile visitare il Darfur, perché
non si riescono ad ottenere i permessi. In verità, io stesso non ho ottenuto il permesso,
ho rischiato. Ho, infatti, preso l’aereo e sono arrivato nella capitale del Darfur,
dove abbiamo una comunità, ed ho detto che ero lì soltanto per visitare i miei confratelli.
Questi hanno dovuto, a loro volta, firmare un documento, nel quale si impegnavano
a tenermi per tutto il periodo della mia permanenza in Darfur nel cortile della missione.
Una volta, però, uscito dall’aeroporto ho potuto visitare vari campi di sfollati e
posso dire che la situazione è veramente disastrosa. Questi campi sono un inferno:
visti dall’alto sembrano tutti sassi nel deserto, ma quando l’aereo si fa più basso,
realizzi che sono capanne, tende. Non c’è spazio vitale in questi campi.
D.
- La situazione attuale, come lei la descrive, parla di combattimenti di aerei governativi
su questi villaggi, su questa zona e continuano anche gli attacchi dei janjaweed,
queste milizie arabe?
R. - I janjaweed sono
predoni del deserto e ci sono sempre stati. Ma cosa ha fatto il governo? Il governo
ha potenziato questi nomadi, li ha armati e li ha scagliati contro la popolazione
locale. Non solo: sostengono i loro attacchi con armi pesanti. Io stesso, con i miei
occhi, ho visto aerei Mig sovietici, venduti dalla Cina e modernizzati a Karthoum.
Ho visto io i soldati regolari armare le ali di questi velivoli, li ho visti partire
e li ho anche fotografati. E’ inutile che il governo di Karthoum dica che non è vero
che vengono bombardate le popolazioni civili.